
«Tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre»
(Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi)
Ore 12:27: l’orologio in alto a destra dello schermo del suo pc era diventato un nemico. Si alzava ogni mattina molto presto, non per volontà, si svegliava e basta. Non era suo uso e costume perdere tempo. Si limitava al suo caffè, a lavarsi, togliere il pigiama e mettere la tuta, occuparsi di chi doveva e, in un tempo pressoché immediato, sedersi nella sede distaccata del Pentagono.
Già, aveva la dependance americana ormai, dacché doveva guadagnarsi il pane stando a casa o, a dirla con parole sue, doveva fare tutto ciò a cui era chiamata, senza spostarsi dalla sua residenza.
Una fetta di persone riteneva addirittura che il suo lavoro fosse inutile in quel tempo in cui ognuno sembrava essere stato designato, da uno strano scherzo del destino, ad occupare un posto non creato a quello scopo, un palcoscenico di dissennati che si muovevano rispondendo ad un copione folle, per una scenografia squilibrata. Ma posto che spesso le opinioni generiche e generalizzate sono anche banalmente inutili, restavano da guardare ai fatti: un pc a postazione fissa, un portatile, un tablet rigorosamente munito di tastiera, una tavoletta grafica, due stampanti, una power bank, uno smartwatch e lo smartphone.
Al di là di questo, la carta, le penne, i colori, la pila dei libri divisa per genere, tipologia ed utilità.
Morale: erano già le 12:27 ed il tempo ogni giorno sembrava diminuire implacabilmente, a dispetto di qualsiasi calcolo matematico o delle lancette dell’orologio, che continuavano a parlare di numeri incontestabili.
Ventiquattr’ore dicevano: ventiquattr’ore però non c’erano e con loro sembravano andare e venire anche le certezze.
Lei restava lì a guardare, in realtà nella speranza di poter capire, sebbene quel giorno sapeva di avere un impegno e di dover parlare a delle persone; inesorabilmente, ciò che doveva assolvere era il dovere di parlare di numeri.
Non starò qui a tediarvi con un melenso elenco di pensieri che le occupavano la testa, né ad approfittare della vostra pazienza per sciorinare la lista delle evidenze che proprio non poteva evitare di notare, per quanto alcune non le venissero spiegate e tante altre non fossero sensate. Questo non implicava, però, non fossero indiscutibili ed incontestabili evidenze. Si occupava di numeri, difficilmente si lasciava fregare da queste robe filosofiche.
Erano le 12:27, alle 12:30 sarebbe partito il collegamento in diretta con la platea che pullulava di blablabla iper personaggi, i quali si aspettavano un aggiornamento tecnico ben preciso, ma non il suo condimento:
«Vedete signori, se è vero, com’è vero, che cose uguali assumono nomi diversi grazie alla matematica, allo stesso modo tutti i nostri giorni hanno la funzione di battezzare con un nome inequivocabile ciò che ci fa vivi. Inoltre, signori, in troppe occasioni ciò che fa di noi esseri dotati di vita viene spremuto e compresso dal torchio dei numeri. Beh, sapete, ci sono cose impossibili ai numeri: indicare, suonare e scrivere con quattro mani, passeggiare e procedere con quattro piedi, osservare con quattro occhi, valutare con due teste, sentire con due cuori e percepire con due pance, tutto nel medesimo momento: questo, per il numero, non è fattibile. E spesso è impraticabile anche per le persone, perché il regno dei miracoli non è di questo mondo. O meglio, il regno dei miracoli è patrimonio riservato a quei pochi che hanno l’ardire di andare a scovarlo. Intanto io che, come voi, sono una numerica di professione, non posso dire ad un’intera platea di credere ai miracoli, per un fatto di dovere. Eppure, signori, nutro da sempre la speranza che esistano anche solo pochi avveduti fra noi, i quali facciano il tentativo, sì, di comprendere che 1+1 è uguale a 2 e vada accettato, vissuto, non sia modificabile e non si possano fare tentativi perché lo diventi; altresì, però, va preso atto che non si può sperare nell’aiuto delle cifre per dipanare la matassa delle cose miracolose che, ben oltre questo confutabile spazio, da qualche parte sono nascoste.
Detto ciò, ringrazio per l’attenzione, signori, e così vi lascio. Siete persone dotate di grande acume e, pertanto, so che capirete».
Così, fine.