Intervista a don Giovanni Fiorentino, Assistente ecclesiastico della Consulta Regionale delle Aggregazioni laicali della Puglia

di don Emanuele Tupputi

Il 13 giugno scorso Papa Francesco incontrando i Moderatori/Responsabili dei Movimenti e Associazioni di fedeli che operano all’interno della Chiesa parlando del ruolo dei movimenti ecclesiali nella Chiesa ha dichiarato che essi “sono per il servizio, non per noi stessi. È triste quando si sente che io appartengo a questo, all’altro, all’altro, come se fosse una cosa superiore. I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire”. Queste parole di Papa Francesco evidenziano l’importanza della bellezza dei carismi per dare un generoso e prezioso contributo all’evangelizzazione, alla quale tutti noi battezzati siamo chiamati.

L’obiettivo di armonizzare i vari carismi per il bene della Chiesa nelle varie chiese italiane viene o dovrebbe essere favorito dalle consulte diocesane delle aggregazioni laicali che costituiscono un luogo privilegiato  per far conoscere, riconoscere e valorizzare le varie espressioni del mondo laicale presenti in una Chiesa locale, dove ogni gruppo e associazione può portare e mettere in circolo la propria sensibilità specifica e trovare convergenza su temi e progetti su cui spendersi per il bene della Chiesa e del mondo. Per capire meglio questa realtà, che come il lieto fermenta la pasta, abbiamo rivolto alcune domande a don Giovanni Fiorentino, sacerdote della Diocesi di Molfetta, che è assistente regionale della Consulta delle Aggregazioni Laicali della Puglia. Già segretario particolare di Mons. Bello, nei primi dieci anni di sacerdozio ha guidato come rettore la comunità del Seminario Vescovile, dal 2002 è stato parroco della parrocchia Sacro Cuore di Gesù in Molfetta e nel 2012 è diventato parroco della parrocchia Immacolata di Giovinazzo. Lo ringraziamo per la sua disponibilità che ha voluto offrirci in questa intervista e per gli spunti di riflessione che ci offre per poter alimentare una maggiore corresponsabilità dei laici nella Chiesa e nel mondo e per aiutarci a conoscere meglio l’importanza della Consulta diocesana delle Aggregazioni Laicali.

Don Giovanni, San Giovanni Paolo II definì i movimenti «una primavera dello Spirito». Oggi è ancora valida quella definizione?

Si, quella di San Giovanni Paolo II sui Movimenti fu una dichiarazione importante: «Rendiamo grazie al Signore – disse con voce accorata – per questa primavera della Chiesa suscitata dalla forza rinnovatrice dello Spirito» (Pentecoste, 31 maggio 1998).

Quando il Papa pronunciò queste parole, mentre segnava una tappa decisiva del cammino dei Movimenti nella Chiesa e nel mondo, lanciava di fatto un appello: se sono un dono dello Spirito, non possono e non devono rimanere ai margini della Comunità cristiana; non possono essere più sentiti e vissuti come un problema, ma come una risorsa; non possono essere più considerati come un vento da imbrigliare e controllare piuttosto che come una vela da lasciare spiegata per poter «prendere il largo» (cfr. Lc 5,21: Duc in altum). Dobbiamo riconoscerlo: nel corso della storia, la voce della Chiesa Istituzione ha soffocato in parte quella della Chiesa profezia. Tanto che nella Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001) dirà: «Occorre certo che associazioni e movimenti, tanto nella Chiesa universale quanto nelle Chiese particolari, operino nella piena sintonia ecclesiale e in obbedienza alle direttive autorevoli dei Pastori. Ma torna anche per tutti, esigente e perentorio, il monito dell’Apostolo: “Non spegnete lo Spirito”». Sicché, quando oggi, forse anche a ragione, riscontriamo un deficit di entusiasmo da parte delle nostre Aggregazioni laicali, dobbiamo interrogarci se, come Chiesa, non siamo stati proprio noi a provocare in loro delusione e con la delusione un inevitabile calo di passione. Purtroppo, queste nostre realtà associative spesso non sono affatto (realmente) promosse nelle nostre Diocesi. Spesso non c’è nemmeno chi si preoccupi di una formazione del laicato, fuori dall’associazionismo. Penso di poter dire che, sì, i Movimenti sono (devono tornare ad essere!) una primavera dello Spirito. Soprattutto dopo l’esperienza devastante della Pandemia e in un momento storico difficile, profondamente segnato dal male dell’individualismo cronico. Nella misura in cui riescono a superare spiritualismo e rifugio nel privato, le aggregazioni laicali si rivelano davvero una grande risorsa che può fare la differenza per tutta la Comunità ecclesiale, aiutandola soprattutto ad essere più sbilanciata verso l’esterno (in uscita). Molti laici formati sono – per grazia di Dio – «sale della Terra», «lievito nella pasta» del mondo! Rischiano, tuttavia, di esserlo solo a titolo personale, in modo particolare circa quei problemi che riguardano la città, il quartiere, il territorio. Purtroppo, su tante questioni territoriali (ambiente, lavoro, sanità…) non c’è ancora una voce autorevole e corale del “laicato organizzato”.

Come valorizzare la laicità ed evitare una sorta di clericalismo dei laici, al quale fa riferimento spesso Papa Francesco?

«Peggio ancora di un prete o del vescovo caduti nel clericalismo sono i laici clericalizzati: per favore, sono una peste nella Chiesa. Il laico sia laico» (Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, 18 febbraio 2023). Su questo punto, Papa Francesco è sempre stato molto lucido e determinante! Dobbiamo lasciare, semmai, che questa sua provocazione non smetta di incalzarci e di inquietarci. «Dove» vogliamo che i nostri laici vivano appieno la loro vocazione ed esprimano in modo proficuo la loro missione? Dentro il perimetro della Chiesa, completamente tesi a raggiungere il traguardo di qualche ministero o di qualche posto d’onore nelle strutture ecclesiastiche, o non piuttosto dentro i gangli della storia, dove si svolge la loro vita concreta, per trasformare le dinamiche di morte in processi di bene? Che poi è quello che papa Francesco afferma quando, al Cap. IV dell’Evangelii gaudium, scrive che «evangelizzare altro non è che rendere presente nel mondo il Regno di Dio». L’aveva già anticipato il grande Paolo VI quando nell’Evangelii nuntiandi scriveva: «L’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo» (n. 29). I poli costitutivi da cui è caratterizzata la vita del laico sono due: la fedeltà a Gesù, di cui è discepolo e la fedeltà al mondo, alla vita, alla vita così com’è. E poiché si tratta di fedeltà in tensione tra di loro, suo compito è proprio quello di comporle con tutto il peso di fatica, disagio, smarrimento, che questo comporta.

Papa Francesco, nell’Eg precisa questo impegno del laico con uno slogan che mi sembra geniale: Stare nel mondo “con uno sguardo contemplativo” sulla città! Ossia con uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. […] Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia» (n. 71). Se è questa la vocazione e la missione dei laici nella storia, dobbiamo stare attenti perché non cadiamo in un atteggiamento schizofrenico, per cui, con le parole e i pronunciamenti solenni biasimiamo ogni tentativo di clericalismo risorgente, e poi con le scelte finiamo di fatto per incoraggiarlo, considerando un ministero liturgico o un incarico pastorale più importanti di un impegno nella società, nella cultura, nella politica. Così – lo dico con una battuta famosa – lo cacceremmo dalla porta e lo faremmo entrare dalla finestra. Vogliamo davvero estinguere la gramigna del clericalismo? Lasciamo che i nostri laici si rendano protagonisti attivi nella costruzione di una società più giusta, solidale, pacifica, rispettosa del creato. Non come se questa responsabilità si aggiungesse da fuori al loro essere credenti, ma come espressione immediata del loro riconoscersi figli di Dio. Molto, dunque, si deve ancora fare in questo senso: tanto protagonismo laicale, infatti, spesso è visto come semplice concessione da parte del parroco/assistente più aperto mentalmente, e non come dono-compito scaturente dal Battesimo. Per non dire che talvolta si assiste a fenomeni di sudditanza del laicato rispetto alla gerarchia. Ciò che preoccupa è che non si capisce ancora che solo un laicato motivato e maturo, adulto e responsabilizzato può assicurare un clero altrettanto maturo. Non mettere al primo posto la formazione dei laici significa arrendersi ad un presbiterio mediocre. Un frutto negativo dell’attuale cammino della Chiesa, credo sia la connotazione del fedele laico come figura sostitutiva del sacerdote con lo scopo di «tenere in piedi le parrocchie»: la riduzione della missione del fedele laico ad una specie di «sacrestano nobile», che farebbe di lui un esperto di ciò che accade dentro l’ombra del campanile.

Nell’attuale situazione del laicato in un tempo ecclesiale sinodale come cambia il ruolo dell’associazionismo laicale e dei movimenti ecclesiali? In fondo, se la sinodalità riguarda tutti, la loro presenza non rischia di annacquarsi?

La natura aggregativa di associazioni e movimenti – l’ho detto prima – rappresenta una grande risorsa, perché promuove e nutre una trama bella e feconda di relazioni fraterne tra le persone, nella comunità. La presenza di un gruppo di laici che liberamente decidono di camminare insieme dentro la Chiesa per contribuire alla missione di tutto il Popolo di Dio può e deve fare la differenza per la realtà nella quale essi sono radicati. Perché essere Movimento, significa scegliere di abitare un territorio, un ambiente, un contesto sociale e culturale insieme, non sparpagliato, non ognun per sé. Significa voler essere insieme, dentro ciascuno di questi ambiti e per le persone che vivono in essi, annunciatori di speranza.

È tempo che ci rendiamo conto che le aggregazioni laicali rappresentano davvero una forma privilegiata e un segno particolarmente significativo di questo essere convocati «come popolo e non come esseri isolati» (Eg n. 113). Proprio in un tempo caratterizzato in ogni ambito da una frammentazione che rende difficile la costruzione di trame solidali e segnato da una «tristezza individualista» (Eg n.2), davvero le aggregazioni laicali possono acquistare ancora più importanza. Innanzitutto, sul piano culturale nel senso più ampio e profondo del termine, introducendo nel tessuto sfilacciato delle relazioni quotidiane un modo di vivere e di pensare che genera legami, occasioni di condivisione, forme di solidarietà. E poi sul piano dell’esperienza ecclesiale, in cui le aggregazioni laicali si fanno promotrici di percorsi di crescita umana e spirituale condivisi. Il Sinodo, dunque, rappresenta un’opportunità di presenza qualificata dei laici nella Chiesa, che non si ferma al servizio spicciolo, ma entra nel merito della progettazione pastorale. Perché «la missione – come ci ricorda il Papa nell’Evangelii gaudium – è una passione per Gesù, ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo» (n. 268).

Quali sono i doni e i valori che dovrebbero essere comuni ai movimenti e alle aggregazioni laicali nella consulta diocesana e non solo?

Per rispondere a questa domanda proviamo a chiederci: di cosa hanno bisogno oggi le nostre Diocesi e le nostre parrocchie per vivere un’autentica «conversione missionaria» (Eg 30)? E quindi, di riflesso, come le aggregazioni laicali, i movimenti e le associazioni possono accompagnare e sostenere Diocesi e parrocchie nella direzione di questa conversione?

Se l’esercizio più importante che la Chiesa oggi è chiamata a fare per una sua presenza più incisiva nella storia, è quello del «discernimento pastorale», io direi che il contributo più determinante delle nostre realtà aggregative sia proprio quello di una lettura attenta e condivisa del tempo e del luogo in cui siamo. Per loro natura, i Movimenti sono abituati a confrontarsi al proprio interno in maniera seria e sincera, interrogandosi con il contributo di tanti sulle scelte da compiere, sulla direzione da tenere, sulla modalità delle iniziative che si propongono. Questa loro naturale attitudine, estesa a tutta la Chiesa, non può non rivelarsi come un valore aggiunto, come una grande risorsa. Le nostre aggregazioni laicali, inoltre, possono concorrere in modo significativo a fare sempre più delle nostre comunità parrocchiali e diocesane «ambiti di comunione viva e di partecipazione» (Eg 28). Ma il contributo forse più significativo che possono dare alla vita della Chiesa per spingerla a essere sempre più «in uscita», capace di inoltrarsi lungo i sentieri del mondo per farsi vicina alla vita delle persone, è quello che è più strettamente legato alla loro caratteristica di fondo, ossia il fatto di avere ciascuna una specifica identità, una determinata storia, una vocazione particolare e un proprio modo di stare dentro la Chiesa. Si tratta di una straordinaria ricchezza che può divenire patrimonio prezioso per tutto il popolo di Dio.

Come alimentare la comunione e il senso di appartenenza nella CDAL nella differenza dei carismi, in modo che tutti si sentano corresponsabili? Quale consiglio dare per crescere nel favorire in essa una comunione corresponsabile e sinodale?

Quello che con un guizzo di genio papa Francesco nell’Eg dice circa la dimensione sociale e politica dell’evangelizzazione, attraverso l’immagine della sfera e del poliedro, provo ad applicarlo qui nell’ambito più ecclesiale: «Il modello» della comunità da costruire «non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ognuno è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità (n. 236). Non l’uniformità, dunque, ma la pluralità rappresenta l’autentica ricchezza nella vita di una parrocchia (e più in generale della Chiesa), in cui le varie aggregazioni laicali possono portare un contributo diversificato e, muovendo ognuna dalla propria specifica attenzione, incontrare esperienze e sensibilità differenti, coinvolgere e dare risposta alle diverse esigenze di vita, ai diversi bisogni materiali, spirituali, relazionali, culturali delle persone. Accogliendo e accompagnando, ad esempio, sia coloro che ricercano forme di spiritualità legate alla pietà popolare sia coloro che sentono maggiormente il bisogno di un approfondimento teologico e culturale, oppure chi avverte soprattutto l’esigenza di una fede che si traduca immediatamente nella carità. Penso che il segreto, per alimentare la comunione e far crescere il senso di appartenenza, sia evitare con tutte le forze di cadere nella trappola del “gruppo che basta a sé stesso” e, al contrario, tendere sempre con coraggio verso l’armonizzazione dei carismi, fino al punto di fuggire anche la paura di una contaminazione.

Quale contributo può dare la Consulta diocesana per far crescere un laicato più consapevole e maturo?

La Consulta

… può creare spazi d’incontro e di formazione per favorire una riflessione sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo; promuovere processi di educazione e di crescita sul versante della laicità. Penso che oggi più che mai i laici hanno bisogno di riscoprire il senso profondo della loro laicità e di essere stimolati ad esercitarla.

… può diventare un luogo per far conoscere, riconoscere e valorizzare le varie espressioni del mondo laicale nelle nostre Chiese locali, dove ogni gruppo e associazione possa portare e mettere in circolo la propria sensibilità specifica e trovare convergenza su temi e progetti su cui spendersi;

… ma deve anche essere un luogo da cui si possa invitare la Chiesa locale a prestare attenzione a quei temi e a quelle realtà nodali per la vita delle persone che abitano le nostre Città e le nostre Comunità (dignità umana, povertà, educazione, realtà giovanile, ecc.).

Ancora, la Consulta

… può essere un luogo in cui le singole associazioni possano confrontarsi sulla loro realtà territoriale e magari pervenire all’elaborazione e all’espressione di un pensiero comune, di una linea di comportamento o azione, di una modalità di intervento per far sentire la loro voce su questioni che riguardano ed interpellano fortemente i nostri laici (penso al dramma della guerra e, quindi, all’impegno per la pace, al tema dell’intelligenza artificiale, ecc.).

… può essere quella realtà diocesana che interagisce con altre realtà, non necessariamente di natura ecclesiale, presenti sul territorio, per fare rete insieme.

… può diventare quello spazio formativo/culturale dove non si programmano altre attività da fare, così che non diventi una mega Associazione sulle Associazioni, ma sia capace di creare contatti, rapporti, scambi e tanto, tanto dialogo tra diverse identità.

Noi dobbiamo ora saper generare processi, abbracciare cioè quella creatività che è inscritta nella vita che mai è uguale a se stessa, mai è scontata, mai si arresta, anche di fronte a esperienze apparentemente di sconfitta. Dobbiamo ora più che mai fare nostra la logica dell’agricoltore, imparando dalla natura a seminare non in estate, ma in inverno, quando lo stesso circuito naturale pare andare verso il tramonto.


1 COMMENTO

  1. Esprimo i miei complimenti per le belle parole e i buoni propositi contenuti nell’articolo. Ma per esperienza diretta rilevo che purtroppo le cose nella Chiesa di oggi sul ruolo dei laici stanno diversamente. Penso intanto, per via preliminare, che esista più clericalismo tra i vertici della Chiesa che in ambiente laico.La mia esperienza da laico impegnato culturalmente nell’evangelizzazione è nella diffusione della fede è questa:Sono un biologo autore di una ricerca biblica dal titolo “Bibbia e DNA”, ricerca originale che prende lo spunto da una frase del libro del Siracide che potrebbe rappresentare un indizio da associare alla struttura del DNA. Per maggiori particolari rimando alla consultazione sul sito http://www.bibbiadna.it
    La ricerca gode del commento esegetico di un biblista della diocesi di Noto e del parere favorevole di un Vescovo teologo. La ricerca da più di due anni è stata inviata in Vaticano per un giudizio preliminare ma, nostante reiterati solleciti, non ho ricevuto nessun giudizio e nessuna risposta. Silenzio tombale da parte degli organi del Vaticano. Stando così le cose i laici non potranno mai avere un ruolo attivo nella vita pastorale della Chiesa ma forse, come è scritto nell’articolo, solo il ruolo di “sacrestani nobili”. Cordiali saluti

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