Francesco Fistetti, Il Novecento nello specchio delle filosofie. Linguaggi, immagini del mondo, paradigmi (Novara, UTET 2021)

Non succede spesso nella ormai ricca letteratura sulla  non lineare storia del  pensiero  del Novecento vederla come un teatro scientifico-filosofico e nello stesso tempo connotarla come un vero e proprio  ‘campo di battaglia’ nel senso già usato da Kant per dare conto dei grossi dibattiti avvenuti nell’ambito della metafisica tradizionale; ma se l’obiettivo di ogni lavoro filosofico pur con tutti i suoi limiti è stato pensare la propria contemporaneità e tradurla in concetti come ci indicava Hegel col dare luogo al suo specifico ‘travaglio dei concetti’ per usare una espressione del matematico ed epistemologo Federigo Enriques dei primi anni del secolo scorso, allora la riflessione  sulla complessità del Novecento non può non nutrirsi  di quella ‘sprucida materia’ costituita dai “diversi conflitti intensissimi alimentati da ideologie politiche mobilitanti, guerre, rivoluzioni sociali, lotte anticoloniali, conflitti di ogni tipo (di razza, di classe, di genere)” che l’hanno attraversato, come ha fatto nella sua articolata ultima opera Francesco Fistetti, Il Novecento nello specchio delle filosofie. Linguaggi, immagini del mondo, paradigmi (Novara, UTET 2021).

Da tenere presente, anche per capire lo spirito e l’intero impianto metodologico di quest’ultimo lavoro, che Francesco Fistetti è uno dei pochi italiani  che ha sottoscritto  il primo  ed il secondo  Manifesto convivialista (2013 e 2020),  espressione   insieme alla Revue du MAUSS, di cui fa parte, di un movimento filosofico-politico portato avanti in questi ultimi anni da varie figure, per lo più del mondo francofono come Alain  Callié, Serge Latouche ed Edgar Morin, con l’obiettivo di opporsi ai diversi squilibri del mondo contemporaneo, di delineare le basi di una convivenza civile in grado di combattere le disuguaglianze; interessante, inoltre, è il fatto che si prende come punto di riferimento quello che viene considerato il ‘paradigma del dono’ sulla scia del Saggio sul dono del 1925 di Marcel Mauss, idea che è a base del volume,   curato fa Fistetti insieme ad altri,  Il mondo da lontano. Alterità e ospitalità   dove questi temi, come ad esempio il ‘paradigma del dono a distanza’, vengono affrontati alla luce dei cinque principi elaborati da tale movimento ed incentrati sulla necessità di rivitalizzare i principi democratici e sulla proposta di una ‘filosofia politica alternativa’.

Tutto questo si rivela oltremodo cruciale per capire uno degli assunti di base di tale volume, presente in altri lavori precedenti come quello dedicato ad Hannah Arendt ( cfr. Il reale resiliente in Hannah Arendt, Odysseo 23 aprile 2020), e cioè il nesso stretto tra filosofia e politica considerato “nota dominante della pratica filosofica novecentesca”, vera e propria ‘costante’ indispensabile per capire più in profondità le “trasformazioni e le svolte intellettuali del secolo”; e Fistetti lo affronta col tenere presente quello che chiama “intreccio o dialogo permanente con le scienze umane e sociali”  e gli stessi esiti delle rivoluzioni scientifiche in atto, ritenuti indispensabili per affrontare i cogenti problemi dell’umanità attuale. Ma la storia di tale ‘teatro filosofico dell’intero Novecento’ o meglio, quello che viene chiamato vero e proprio ‘labirinto’, ha  avuto bisogno di ‘una diversa scrittura’ basata su un “duplice approccio: enciclopedico e tra(ns)duttivo”, dove per ‘enciclopedico’ bisogna intendere non una semplice presa in esame di figure e di filoni di pensiero, ma l’individuazione di problematiche in comune tra pensatori pur lontani per sensibilità ed appartenenti ad aree diverse proprio per far vedere  l’emergere di affinità e divergenze. E  se alcune di idee di fondo  in comune vengono avanzate da autori lontani geograficamente e all’interno di percorsi teorici con prospettive molto distanti tra di loro, questo sta a significare da una parte che esse sono il frutto non casuale di problematiche reali da cui non ci si può sottrarre, pena l’inaridimento del pensiero, e dall’altra solo per il semplice fatto che sono state espresse, al di là della pur importante stessa modalità con cui sono emerse, manifestano un grado di oggettività in più, rispetto ad altre, con cui bisogna criticamente confrontarsi, pur sembrando a volte eccentriche e fuori dai binari già tracciati.

Ma Fistetti potenzia  la sua non comune ermeneutica storiografica con un altro non secondario approccio, ereditato dal  lungo abbeverarsi a quella fonte di Siloe che è stata la lezione di Antonio Gramsci e relativa alla ‘traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici’; pienamente metabolizzato lo spirito del pensatore sardo cosa che in questi ultimi tempi specialmente in Italia non è proprio al centro dell’attenzione a differenza di ciò che avviene nel resto del mondo, è approdato a tale esito che chiama ‘tra(ns)duttivo’ che gli ha permesso di cogliere della filosofia novecentesca qualcosa di assente nel passato e cioè l’avere un’anima’ o una ‘ragione’ quasi implicite che superano le frontiere nazionali, per usare delle espressioni rispettivamente  di Moritz Schlick e di Federigo Enriques, sino  mostrare una inedita  “identità sovranazionale e cosmopolitica” come risposta “alle urgenze e alle inquietudini della storia in atto”. Pertanto i ‘linguaggi, le immagini del mondo, i paradigmi’ col relativo enriquesiano ‘travaglio dei concetti’, messo in atto da figure e filoni di pensiero filosofico-scientifico, riflettono le diverse ‘anime’ o ‘ragioni’ del Novecento  per cercare di darne una visione d’insieme, ritenuta da Fistetti comunque “un tentativo” necessario da fare  anche se  non è privo di rischi  per la difficoltà di delimitare i contorni concettuali e temporali del ‘momento 1900’. Del resto ‘il continente Novecento’ è talmente ricco di prospettive impossibili da incasellare in una storia sia pure articolata e ciò che conta è tentare di coglierne lo spirito di fondo che viene intravisto nello sforzo da parte degli intellettuali di essere all’altezza, come del resto è avvenuto  nel cosiddetto ‘miracolo greco’ con la contestuale invenzione del pensiero filosofico-scientifico e delle idee democratiche, delle sfide della contemporaneità, di essere in stretto “rapporto con le domande di senso, con le passioni del proprio tempo”, di viverle e di abitarle in maniera intensa  e soprattutto non ‘mentire’ sui problemi che ne sono a monte come avvertiva Simone Weil.

Fistetti, nei vari capitoli  illustra quello che chiama i ‘lineamenti generali’ assunti dalla filosofia del Novecento che “per la prima volta nella storia della cultura occidentale… si sarebbe presentata sulla scena pubblica nelle vesti di una pratica che potremmo chiamare militante” in grado sulla scia di Nietzsche di indicare il ‘dove’ e l’’a che  scopo’ degli uomini”; nello stesso tempo passa in rassegna le diverse illusioni o utopie di  diverso genere di cui è stato vittima l’uomo contemporaneo dall’”illusione prometeica dell’homo faber” nel tentativo di  “oltrepassare i limiti della finitezza” passando per Auschwitz ed il ‘nichilismo dei regimi autoritari’ all’utopia della ‘filosofia scientifica’. Molto interessante si rivela il modo di leggere le diverse poste in gioco o enjeux messe in atto dalla disputa di Davos da parte di Heidegger e Cassirer,  dalle filosofie dell’esistenza alle scienze dell’interpretazione, dall’ermeneutica al  Linguistic Turn, ai tentativi di conciliare le istanze della vita con quelle della metafisica e della storia  nei percorsi di un Bergson e di Max Weber. Questo carattere ‘militante’ della pratica filosofica anche con modalità diverse è ritenuto presente anche nella seconda metà del secolo col prendere in esame la filosofia europea degli anni ’80 ed il dibattito al di là dell’Atlantico a partire da quella che viene chiamata “dissoluzione del marxismo come metafisica col materialismo aleatorio di Louis Althusser”, il ‘neopragmatismo di Rorty in dialogo col pensiero debole ed il liberalsocialismo’.

Molto intrigante si rivela l’analisi dei rapporti tra filosofia e globalizzazione con il venir meno della ’svolta linguistica’ e l’avvento del neorealismo e quello più sofisticato di Hilary Putnam, come anche l’eredità del postmodernismo e la teoria dell’interpretazione radicale di Donald e  Davidson, la questione del naturalismo tra ermeneutica e filosofia analitica, la critica della fallacia naturalistica in Habermas e Derrida; ma sono gli ultimi capitoli quelli particolarmente più intensi, seguiti da un indispensabile ‘Dizionario delle filosofie e dei filosofi’ per avere una idea più organica delle “costellazioni filosofiche e delle figure più rappresentative”, ed incentrati sulle cruciali ‘questioni filosofiche del III millennio’ con l’analisi di problematiche e movimenti di pensiero che spesso non trovano un adeguato spazio nelle storie della filosofia come ad esempio i percorsi tracciati da Simone Weil e Emmanuel Levinas sull’Altro ed il Medesimo, la riabilitazione della filosofia pratica, il Rationality Debate, la prospettiva di Charles Taylor,  la critica al paradigma coloniale considerato “costitutivo della moderna razionalità occidentale” grazie agli studi condotti ai “bordi della cultura ed angloamericana” come i Subaltern Studies e i Postcolonial Studies, il pensiero afro-americano di Paul Gilroy.

L’ultimo capitolo si sofferma sui ‘nuovi paradigmi filosofici: femminismo, cura e dono’ coll’analisi del femminismo postmoderrnista di Nancy  Fraser, della critica di Judith Butler alla psicanalisi lacaniana con la cruciale problematica del ‘riconoscimento e  della vulnerabilità dei soggetti’, tutti problemi che portano Fistetti, alla luce di ‘un’ermeneutica poststrutturalista’, all’individuazione delle “radici di una nuova rivoluzione filosofica” incentrata sulla “grammatica complessa della cura tra dono e riconoscimento”; così tematiche che nascono  dai bisogni concreti e dalla rugosità in senso weiliano della vita contemporanea vengono tradotti in veri e propri paradigmi teorici, chiaramente bisognosi di ulteriori approfondimenti. Esse  individuate nel loro spessore socio-epistemico vengono ad arricchire di nuove dimensioni  e di diversi binari il ‘teatro filosofico’ di questi primi decenni del nuovo secolo, in cui vengono a specchiarsi questioni cogenti ma irrobustite sul piano concettuale e non solo  più a livello di pura intenzionalità; poi esigono dei sostanziali cambiamenti di rotta col “ridisegnare i confini morali: dall’homo oeconomicus al soggetto concreto” dove prende consistenza “una filosofia dei beni primari” con una diversa immagine della giustizia sociale dove il ‘paradigma del dono’, in contrasto col modello utilitarista presente ancora in ambito economico e con il modello contrattualistico nelle sue diverse varianti  da Hobbes a Rawls,  diventa il perno indispensabile della filosofia civica col suo intrinseco “’valore di legame’  per la stessa riproduzione della società”. Il gruppo MAUSS ha evidenziato, infatti, attraverso ricerche empiriche e vagliate sul terreno epistemologico, la valenza strategica della politica del dono nel permettere nuove forme associative fondate sullo scambio equo e solidale e con accordi per vivere insieme, dove appunto il convivialismo, teorizzato da Caillé, viene presentato come una ‘nuova forma di filosofia politica’ che è “una risposta al fallimento della ‘speranza utilitaristica’ coltivata dall’Occidente di superare il ‘conflitto tra gli uomini” attraverso l’incremento della ‘crescita materiale per tutti’. Nello stesso tempo tale strategia politica fondata sulla ‘giusta misura’, proposta da Aristotele ‘tra interesse per sé e interesse per gli altri’, è una forma di ‘filosofia civica’  imposta dalla logica della globalizzazione  che necessita di forme di cooperazione nel prendere atto che occorre  tracciare i binari di ‘una cultura alternativa al mito della crescita’.

Ritorna con tutta la sua valenza il carattere militante della ‘pratica filosofica del Novecento’, che non è dunque un semplice riflesso sociologico delle reali situazioni come può sembrare a prima vista, ma pone sul tappeto per Fistetti la vexata quaestio del ruolo della filosofia insieme con  quella del ‘mestiere del filosofo’; essa appunto perché prende le mosse dalla rugosità del reale umano, come diceva Simone Weil, non è “ un lusso intellettuale… ma una necessità impellente” per farci prendere atto della nostra vulnerabilità e della “sorte materiale e morale”  toccataci. Ma tutto questo impone, come i Maestri Greci avevano già chiaramente indicato, il “coraggio della parresia, la virtù di dire la verità al potere” e sulla scia di Jan Patocka (1907-1937) la stessa  “’cura dell’anima’ che consiste nel tenere sempre desta la domanda sul significato…con le implicazioni politiche rilevanti”, sentiero questo del ‘senso’ da collegare con “le nuove frontiere del sapere scientifico campo aperto, solcato da ideologie, concezioni religiose, orientamenti valoriali”. La grande lezione che Fistetti trae dallo ‘specchio delle filosofie del Novecento’ e che ci consegna e che avrebbe potuto anche trovare in quel poliedrico ‘filosofo-resistente’ russo che è stato Pavel Florenskij, da una parte è il fatto incontrovertibile che “abbiamo bisogno degli strumenti della ragione scientifica” e dall’altra “dell’’esame’ critico del filosofo che sgretoli i pregiudizi correnti, relativizzi i paradigmi dominanti della razionalità” per essere più in grado di “rivedere alla luce di nuove scoperte la ‘verità’ epistemica delle strutture della nostra conoscenza, saggiarne il ‘significato’ nella nostra vita quotidiana ed indagare i ‘regimi di verità’” su cui si reggono le istituzioni politiche, cosa di cui da più parti si sente il bisogno di fare ma in genere poco praticata.

Il Novecento nello specchio delle filosofie è, pertanto,  un lavoro quasi unico nel suo genere anche perché il suo intento,  insieme storiografico-teoretico, è quello di fornirci, come viene esplicitato nell’ultimo paragrafo, delle chiavi per “navigare in un mare aperto”  e, sulla scia di Italo Calvino, per tracciare delle  mappe del labirinto che è il mondo per meglio ‘sfidarlo’ ed “orientarsi in esso” ; questo diventa sempre più necessario per non lasciarsi prendere, come è successo nel primo Novecento, dalle spire dei totalitarismi che sono stati  prima totalitarismi di una certa ragione  in balìa dei suoi assolutismi col diventare poi supporto di regimi autoritari, come diceva Hélène Metzger ‘pensatrice-resistente’ che proponeva già dei ‘rimedi razionali’ per farvi fronte prima di essere deportata ad Auschwitz pur avendo avuto la possibilità di evitare tale tragica fine.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.