«Per ch’io mi volsi, e vidimi davante 
e sotto i piedi un lago che per gelo 
avea di vetro e non d’acqua sembiante»

(Inferno XXXII, vv.22-24)

Ci siamo. Siamo ormai nel nono cerchio dell’Inferno e solo un passo ci separa dalla visione di Lucifero. Ma quanto duro ancora è il cammino di Dante, quanto duro è quello di ogni uomo che attraversa la valle del tradimento, una valle che il Poeta sperimenta dura come il ghiaccio, trasparente come il vetro, fredda come il cuore di chi tradisce i parenti o la patria: i primi sono puniti nella Caina e i secondi nell’Antenora, ovvero nella prima e seconda zona del lago ghiacciato del Cocito.

L’elenco degli incontri che qui attendono i nostri due pellegrini è lunghissimo: citiamo i conti di Magonza, Camicione de’ Pazzi, Bocca degli Abati e, sia pure non ancora esplicitamente nominati, il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggeri.

Duro, si direbbe crudele, il comportamento di Dante con Bocca degli Abati: prima, letteralmente, lo scuoia con le proprie mani, pur di estorcergli il nome; quindi, pianta in asso il «malvagio traditor» (v.110) non appena il nome gli è svelato dal compagno di pena, Buoso da Duera.

L’atteggiamento di Dante non può essere spiegato semplicemente come l’astio contro un nemico scortese. A me fa pensare ad una sorta di anticipazione di quella che è la scena finale e che serve a creare e far crescere la suspense, in attesa di quello che sarà l’indimenticabile apertura del canto trentatreesimo, quello, appunto, del racconto di Ugolino, il cui «fiero pasto» (Inferno, XXXIII, v.1) è qui così descritto:

«e come ’l pan per fame si manduca,
così ’l sovran li denti a l’altro pose
là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca»

(Inferno, XXXII, vv.127-129).

In parafrasi: e come si mangia il pane per fame, così quello tra i due che sovrastava l’altro affondò i denti laddove il cervello si congiunge con il midollo spinale.

Nutrirsi del cervello e del midollo di un nemico: ci torneremo nel prossimo canto, ma è già una scena che ci racconta tutto l’orrore di Dante, e il nostro, tutta la sua incapacità, e anche la nostra, di intendere le ragioni di colui o colei che, per ambizione o interesse, tradisce chi a loro si è affidato.

Non è un caso se Dante inizia il trentaduesimo canto invocando le Muse: non sarebbe capace, senza il loro aiuto, di raccontare il ghiaccio del tradimento.

Così come anche noi, a nostra volta, non siamo capaci di perdonare chi tradisce, nemmeno quando i traditori siamo noi. Chi crede, chiede aiuto alla misericordia divina. Chi non crede, impetra giustizia, ma se la misericordia – nel bene e nel male – può apparire gratuita, la giustizia a sua volta, se pur raggiunta, rivela tutti i propri limiti e troppo spesso delude.

E il mistero rimane. Nel bene e nel male. Mentre la primavera, canta Battiato, tarda ad arrivare…

Emily Bronte: «La violenza e il tradimento sono armi a doppio taglio: feriscono più gravemente chi le usa, di chi le soffre».

Hermann Hesse: «Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini”.

E infine lei, Antonia Pozzi:

«Ed io ti sento l’anima battere,
dietro il silenzio,
come un filo vivo di acque
dietro un velo di ghiaccio».


FonteDesigne by Eich
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...