Conclude la Settimana di San Tommaso, ad Andria, il prof. Andrea Grillo

Per la sua nota definizione di società liquida, Bauman aveva rilevato come siamo in un contesto in cui “il legame ci fa soffrire”. Prof. Grillo, In questo contesto, in cui facciamo fatica dunque ad essere in relazione, che spazio c’è per l’accompagnare?

L’accompagnare in questo caso ha un doppio significato: il primo è rassicurare sul fatto che il legame è qualcosa di vitale, non è semplicemente un ostacolo ma un modo di realizzarsi; dall’altra parte però serve a rasserenare un vissuto, alterato rispetto al legame, sul fatto che una società complessa come la nostra inevitabilmente conosce una maggiore fragilità dei legami perché valorizza ogni soggetto molto più di prima. Quella che noi chiamiamo società liquida è in realtà una società aperta, nella quale il venire meno della solidità delle strutture relazionali è anche causato dal fatto che ogni singolo ha acquisito un valore superiore. A questo punto è facile che si crei un contrasto, in realtà Papa Francesco, e i Vescovi in larga maggioranza, hanno fiducia che la scoperta di questa fragilità non sia semplicemente la perdita del valore della famiglia, ma una trasformazione del modo di viverlo, che ha bisogno appunto, da parte dei soggetti, della Chiesa, dei ministri, della comunità, di una disponibilità a mettere in discussione le forme classiche con cui abbiamo gestito i vissuti familiari, che in fondo erano affidati molto di più alla società che alla Chiesa. La Chiesa non si è occupata nella storia di rassicurare le famiglie. Le famiglie erano sicure perché la loro forma sociale garantiva una assoluta solidità. In un mondo come il nostro, la Chiesa deve farsi carico di qualcosa che prima gestiva la società e che la Chiesa, non sostituendosi alla società, ma inserendosi nelle relazioni, può gestire scoprendo la dote non del giudizio o dell’emarginazione, ma dell’accompagnamento, che ovviamente è una dote che costa molto di più!

L’Amoris Laetitia ha deluso chi aspettava un magistero normativo, con regole nette in tema di famiglia e di matrimonio. Qual è la novità di questo documento?

L’Amoris Laetitia esce dal modello per cui il Magistero ti dà tutto e tu devi semplicemente, come un bravo funzionario, sia che tu sia prete sia che tu sia laico, applicare una legge. Amoris Laetitia sa che questo modello è esistito (non nella tradizione della Chiesa, ma in una breve tradizione di circa duecento anni), che è finito e che ha bisogno, senza svuotare il valore del Magistero della Chiesa, di uno stile in cui sono corresponsabili della verità della Chiesa non semplicemente i Vescovi o i Papi, ma tutta la catena di mediazioni, episcopali, presbiterali, diaconali e laicali, che vivono in prima persona il rapporto con il legame. Questo significa che si esercita magistero convocando sinodalmente tutta la Chiesa e si ha bisogno di soggetti la cui coscienza sia formata. Una delle fasi decisive che indica la svolta è: non abbiamo bisogno di sostituire le coscienze ma di formarle! Tutti coloro che vivono la realtà del legame matrimoniale, in prima persona o come realtà ecclesiale, devono cambiare stile, mettersi appunto ad accompagnare soggetti rispetto alla quale è molto più comodo chiedere cosa si deve fare e da bravi funzionari obbedire, ma non è questa la strada!

Per questo cambiamento di rotta vige il principio che “il tempo è superiore allo spazio”?

Fin da Evangelii Gaudium Papa Francesco ha enunciato questo principio portandolo con sé al soglio di Pietro a causa della sua biografia: una biografia sudamericana e non europea, una biografia da gesuita, una biografia da figlio del Concilio Vaticano II. Dire primato del tempo sullo spazio vuol dire primato dei processi sugli stati.  E questa è una cosa molto difficile da capire per chi è abituato a ragionare con una mentalità giuridica. Questa mentalità ha bisogno di dire: è in stato di grazia o di peccato? Ha un senso chiederselo; il problema è che siamo tutti in un processo tra grazia e peccato e tra peccato e grazia. Guardare le cose da questo punto di vista allora non vuol dire negare che ci sia una condizione, ma non assolutizzare il problema della condizione e far diventare prioritario il fatto di mettersi in moto. Questa cosa è in un certo senso rivoluzionaria, non per la Chiesa ma per il modo in cui l’Occidente l’ha tradotta nelle categorie post tridentine. Dopo il Concilio di Trento ci siamo preoccupati –anche a ragione- di avere categorie dentro cui inquadrare le persone. Questo non funziona più; già è andata in crisi nei primi del Novecento, poi abbiamo dovuto aspettare un Papa americano che ce lo dicesse. Da cinquant’anni ce lo diceva il Concilio Vaticano II ma non lo capivamo, questo Papa ha le forme e le modalità per farcelo capire!