La traduzione, la vera lingua globale…

La radicalità e la violenza del conflitto fra Israeliani e Palestinesi o, per meglio dire, fra il Governo Netanyahu e Hamas, dipende essenzialmente dalla propria radice religiosa. Sono di fronte due gerarchie del clero, due testi sacri, due alfabeti che rivendicano la propria esclusività e superiorità in modo indiscutibile e definitivo. In assenza di un radicale ed epocale cambiamento, i politici potranno attingere indefinitamente e a loro piacimento da questo fondo torbido e oscurantista.

Se osserviamo invece alcune correnti religiose ebraiche, come il Chassidismo, o islamiche, come il Sufismo e l’Alevismo, vediamo che la pretesa esclusiva di essere in possesso della verità lascia il posto all’apertura, alla tolleranza, al dialogo: qui le religioni sono paragonate ai fiumi che confluiscono nello stesso mare.

Un ruolo determinante nella distorsione dei messaggi religiosi è giocato dall’attaccamento alla lettera dell’insegnamento, al testo scritto. Tale fanatismo si traduce in una vera e propria idolatria del proprio alfabeto. Nei luoghi di culto islamici osserviamo le iscrizioni in alfabeto arabo: gli esperti della Qabbalah ebraica, dal canto loro, ritengono intoccabile la stessa sequenza delle lettere della Torah perché vi sarebbe racchiusa la risposta ad ogni quesito, anche futuro. Lo stesso vale per la lingua dei Veda hinduisti.

Dunque gli alfabeti, le lingue delle religioni sono interpretate come esclusive, intraducibili, uniche, ispirate direttamente da un’Entità superiore.

Irretiti ed ingannati da queste teorie otteniamo il mondo in cui oggi viviamo, come in un’equazione: un mondo in cui l’intolleranza monta, il nazionalismo avanza; un mondo che galleggia in una marea di comunicazione web in inglese dandoci l’illusione di una rete, di un’unitarietà che è solo superficiale e strumentale. Oggi, 2024, il valore della relazione fra culture e religioni diverse, della fecondazione reciproca fra le culture e della coesistenza pacifica è in attesa di rilancio.

Questa coesistenza ha bisogno di una lingua in cui esprimersi, in cui tradursi, in cui tradurre la differenza e l’identità.

Da questo punto di vista va considerato attentamente la linea di pensiero rappresentata dal filosofo senegalese Souleymane Bachir Diagne, direttore dell’Institute for African Studies della Columbia University di New York. In un’intervista del marzo 2022 a J. Mascat egli propone un’importante alternativa alla pretesa di egemonia di qualunque lingua, di qualunque alfabeto. Nello stesso tempo indica gli strumenti linguistici per la comunicazione fra le culture e le religioni. Ascoltiamolo:

“Dal mio punto di vista si tratta di ri-significare l’universale a partire dal paradigma della traduzione… Possiamo sempre tradurre e tradurci. La traduzione istituisce una relazione orizzontale e plurale in cui non c’è più un unico logos, un’unica lingua della ragione universale, bensì tante lingue in cui tutti possiamo parlare, filosofare e tradurci. Lo scrittore kenyano Ngugi Wa Thiong’o diceva che la traduzione è la lingua comune di tutte le lingue. Ecco, la traduzione ci serve per pensare un universale orizzontale e comune”.

Dunque la traduzione è vista come la vera lingua globale, che può consentire ad ogni lingua, ad ogni alfabeto di superare il pericolo dell’autoreferenzialità o della pretesa di considerarsi “l’unico” “il migliore alfabeto” “l’alfabeto universale” “l’alfabeto della verità assoluta”. La traduzione ci serve, dunque, per pensare un universale orizzontale e comune.

Ovviamente è molto forte la consapevolezza della difficoltà del compito: ”Ci saranno comunque incomprensioni e forse anche ostacoli intraducibili” perché “la traduzione è anche conflitto e rapporti di forza fra lingue e culture che non hanno tutte lo stesso peso”.

Ciononostante, la traduzione sembra (e non da oggi) l’unica pratica efficace per ottenere relazioni pacifiche e feconde fra culture diverse. I primi destinatari di questo appello sono i fanatismi religiosi.


FontePhotocredits: https://www.mybestplace.com/it/articolo/ruyi-bridge-la-vertiginosa-onda-tra-le-nuvole
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Sono nato a Barletta nel 1956; ho insegnato Lettere per 23 anni e sono stato dirigente scolastico dal 2007 al 2023. Mi sono dedicato allo studio di vari aspetti della storia locale e sono membro della Società di storia patria per la Puglia; ho censito, trascritto e tradotto le epigrafi di Barletta. Per i tipi della Rotas ho pubblicato il romanzo-saggio “Ricognizioni al giro di boa”. Da molti anni mi interesso di religioni (specialmente il Buddhismo Mahayana) e di dialogo interreligioso. Ho avuto la fortuna di avere tre figli e ora di essere anche nonno! Da settembre 2023 sono in pensione: si dice tecnicamente "in quiescenza" ma è un po' difficile fermarsi. Gioco a tennis, mi piace molto viaggiare e credo molto nel lifelong learning. Sono stato cooptato in Odysseo da Paolo Farina :) e gli sono grato per avermi offerto uno spazio per parlare di scuola (e non solo) fuori dall’ambito formale/ istituzionale.

4 COMMENTI

  1. Tutto ciò che è fanatismo diventa eccessivo, pedante, ossessivo, maniacale. Quando si tratta poi di fanatismo religioso è ancora peggio, sembra essere tutto lecito, anche uccidere in nome di un Dio o di un credo che si fa giustizia eliminando chi non condivide la stessa religione. Utilizzare il metodo della “traduzione” è interessante, ma secondo me è anche molto difficile da realizzare. Sarebbe bello che ognuno di noi potesse vivere il proprio credo, la propria religione, in grande libertà, senza vergogna né paura, ma con la voglia di confronto, di rispetto dell’altro, liberi da fanatismi inutili e distruttivi.

  2. Purtroppo le Autorità religiose, i capi non incoraggiano il dialogo e la traduzione, che è un metodo per la coesistenza. In più lo sforzo di tradurre migliora la comprensione di se stessi, inclusi limiti e pregi.

  3. Una poesia di Juan Vicente Piqueras: Traslochi società anonima: Sono una tribù strana dispersa per il mondo / perché spostano il mondo. / Portano mondi da una lingua all’altra. / Ecco il loro mestiere. / Fanno nevicare in arabo, / cambiano il nome al mare, / portano cammelli dal Sahara in Svezia, / fanno sì che don Chisciotte cavalchi Ronzinante / dalla Mancha alla Manchuria./ Fanno cose strane, pressappoco impossibili./ Dicono nella propria lingua / cose che mai quella lingua aveva detto prima,/ cose che nemmeno sapeva di poter dire. / Sono nati da un crollo, accaduto a Babele, / e da un sogno: che un giorno / le anime oggi agli antipodi, / si conoscano, si capiscano e si amino. / … Sono invece pontefici: quelli che tendono i ponti /tra le isole di lingue lontane, quelli che sanno / che tutte le lingue sono straniere/ che tutto tra noi è traduzione./ Sono una tribù strana sparsa per il mondo / perché stanno spostando il mondo / perché stanno salvando il mondo.

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