“La Fraternità Universale: tra utopia, desiderio e realtà” è il nuovo libro di Don Salvatore Sciannammea, una visione ampia e laicale sull’incapacità umana di osservare in maniera approfondita l’enciclica di Papa Francesco, ponendo l’accento sull’importanza dell’unione e della fede nel nome del beato Charles de Foucauld.

Ciao, Don Salvatore. Cosa si intende per “fraternità universale”?

Potremmo tradurre fraternità universale con uguaglianza nella differenza, oppure armonia globale. Come i figli sono uguali, concettualmente, ma differenti nella sostanza, realizzando la loro figliolanza, vivendo da fratelli, allo stesso tempo la fraternità universale spinge a riconoscere il valore dell’umano che ci rende uguale e figli dello stesso Dio, al di là delle religioni, tradizioni, culture e filosofie. È l’appartenenza al genere umano che ci rende fratelli, senza se e senza ma.

Le recenti guerre e pandemie hanno ulteriormente diviso anziché unire gli uomini. Com’è possibile costruire quel senso di comunità disperso già dai tempi di Caino e Abele?

Il possesso, termine che in ebraico richiama il nome di Caino, spinge a considerare gli altri come inconsistenti. La parola Abele infatti significa soffio, vanità, inconsistenza. Se non si guarda all’uomo, la guerra diventerà la nostra regola. Gandhi diceva che in questo mondo c’è spazio e cibo per tutti, ma anche che questo mondo è troppo piccolo per chi è avido. Credo che il tutto possa essere semplificato in una questione di sguardi. C’è chi guarda in basso, un po’ come le donne che nel Vangelo guardano il sepolcro. Ci può essere tutto l’amore possibile, ma la mancanza del volto spinge al materialismo, all’immanente e a tutto ciò che è consumabile qui ed ora, ma alla fine è morte. È ciò che accade nelle famiglie quando i fratelli, ad esempio, si dividono in nome di una eredità. C’è poi chi invece, come gli apostoli nell’ascensione, alzano il capo in alto. È l’atteggiamento dell’idealismo, della spiritualizzazione, di un vissuto idealizzato e disincarnato dal reale. Ideale e materiale sono state infatti le matrici di totalitarismi quali il comunismo e il nazifascismo. È guardando, invece,  il volto dell’altro, guardando diritto a se stessi, che  ci si può riconoscere  negli occhi di ogni uomo e donna. È guardando ogni persona negli occhi che lo si riconosce uguale e figlio della stessa famiglia umana. È così che ci si riconosce fratelli e sorelle, figli della stessa famiglia, nella stessa casa comune che è questa nostra terra.

Citato da Bergoglio al termine dell’enciclica “Fratelli Tutti”, Charles de Foucauld sarà tra poco beatificato. Il suo esempio è paradigma di legame conseguenza del compromesso?

Charles de Foucauld è un personaggio paradossale. Ha realizzato una vita cristiana senza condividerla con cristiani, è stato un religioso ma vivendo come eremita, ha vissuto da solo ma era considerato da tutti fratello, il suo eremitaggio infatti era chiamato dai Tuareg casa della fraternità. Decideva delle regole per sé, ma non le rispettava perché si lasciava guidare dalle circostanze. Dinanzi alle regole metteva l’amore folle che si traduceva nell’affetto fraterno verso ogni persona. Voleva convertire i musulmani, ma si è lasciato convertire dal bene che aveva ricevuto da loro perché, povero e ammalato, gli hanno salvato la vita. La sua vita è un canto alla fraternità, visibile come una cattedrale, le cui colonne sono costruite sull’amicizia, con un incantevole tetto che ha la misura del cielo, quello stesso cielo che è sul capo di ogni uomo.

In definitiva, la fraternità universale è utopia, desiderio o realtà?

Penso che bisogna tenere insieme questi tre concetti. È realtà perché uomini come Gandhi, Martin Luther King, Charles de Foucauld e molti altri hanno dimostrato che è possibile. È desiderio perché non si ottiene mai ciò che non si desidera ardentemente, ponendo tenacia, fiducia e concentrazione, trasformando il reale, pronti a pagare di persona il coraggio delle proprie scelte. È utopia fin quando, ad iniziare dal nostro cuore, c’è sopraffazione, avidità, egoismo, orgoglio. Tale utopia però ci spinge a vincere le negazioni disumane per fare risplendere lo splendore del nostro volto, quello che può solo rispecchiarsi attraverso gli occhi del fratello. È un cammino lungo ma per chi ha occhi si intravedono già le gemme di una nuova primavera.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.