
Il linguaggio è uno strumento potente nella lotta contro la violenza di genere e la poesia ha il merito di creare immagine per raccontare il mondo.
Il linguaggio è un paradigma delle finestre mentali, attraverso cui la persona esprime il mondo che percepisce. In genere quello che la persona vede del mondo sociale è ciò che oggettivamente vi esiste, ma la persona lo vede nel modo in cui il suo paradigma di concetti, categorie, assunti e pregiudizi lo interpreta. Ed è il linguaggio l’elemento essenziale per comunicare questa interpretazione, ecco perché ha il potere di plasmare le nostre percezioni e di dare voce a esperienze spesso invisibili. Nella società contemporanea, la necessità di un nuovo linguaggio per descrivere la violenza di genere, in particolare il femminicidio, la violenza psicologica, lo stalking e la violenza sui minori, è fondamentale per affrontare e combattere questi fenomeni.
La chiave di lettura per modificare il linguaggio della violenza è comprendere lo spartiacque tra il processo sociale di “etichettamento” naturale mediante l’uso del linguaggio per raggruppare uno specifico fenomeno e l’uso del linguaggio per creare una subcultura collegata all’accettazione/ negazione della gravità della violenza.
Molte forme di violenza sono radicate in strutture sociali e culturali esistenti. Un linguaggio che esplicita queste strutture permette di riconoscere e analizzare i meccanismi che le sostengono. Per esempio, l’uso di termini come “patriarcato” e “discriminazione di genere” può aiutare a identificare le cause profonde della violenza. Un linguaggio che unisce l’analisi critica a esperienze personali può creare consapevolezza e mobilitazione. Comunque, il linguaggio non solo descrive ma anticipa la percezione di fenomeni. Ad esempio, l’uso di frasi come “la violenza inizia quando ti dicono una determinata frase…” può far comprendere come le “micro-aggressioni” quotidiane siano i primi segnali di un comportamento violento. Parole che descrivono la manipolazione, il controllo e l’isolamento possono preparare le vittime e la società a riconoscere segnali di allerta prima che la violenza diventi esplicita. La normalizzazione di un certo tipo di linguaggio, a volte diventa non solo un fenomeno tollerato, ma anche accettato e in qualche modo condiviso da ampi strati della popolazione.
Il linguaggio quindi serve per descrivere un dato fenomeno, può servire per normalizzarlo o per renderlo meno astratto. Il linguaggio è cultura, educazione e massificare certi tipi di termini che definiscono la violenza contro le donne e i bambini, ha contribuito alla sua comprensione.
Chi si occupa di violenza di genere dovrebbe conoscere i paradigmi che stanno dietro ai vari significati, così da comprendere non solo i modelli comportamentali che racchiudono la sua genesi. Alcune indicazioni sono indispensabili per costruire un modello alternativo. Per esempio quando un giornalista si specializza in questo tipo di cronaca, una volta che impara i paradigmi che narrano le storie, riesce a descrivere i fatti senza contribuire a perpetuare la violenza e senza danneggiare psicologicamente la vittima; acquisisce tecniche, metodi e criteri, in una mescolanza inestricabile, che non solo fa assumere una corretta comunicazione del fenomeno ma consente di diffondere cultura per contrastarlo.
Un paradigma è una prospettiva o un quadro di riferimento per osservare il mondo sociale, ed è composto da una serie di concetti assunti, che se usato correttamente, può entrare nel circuito dei valori modificando agli altri la visione del mondo. Chi si occupa di comunicazione mediatica, di educazione e formazione, deve assumere un linguaggio che orienta. Nessuna visione di un certo fenomeno può essere trasformata e reinterpretata in assenza di credenze metodologiche e teoretiche incrociate tra loro che permetta la scelta, la valutazione critica di cosa comunicare, cosa omettere, come farlo e in quali momenti farlo.
Un linguaggio efficace deve anche essere in grado di descrivere l’esperienza vissuta dalle vittime. Utilizzare narrazioni personali, testimonianze e storie può rendere la violenza più tangibile e meno astratta. Termini come “ferite invisibili” possono descrivere il dolore psicologico della violenza domestica, mentre frasi evocative possono illustrare il trauma che si porta dentro. Utilizzare espressioni come “omicidio di genere” mette in evidenza il contesto culturale e sociale in cui avviene, mentre “violenza sistemica” richiama l’attenzione sulla necessità di riforme legislative e culturali.
Per la violenza psicologica e lo stalking, termini come “controllo coercitivo” e “violenza relazionale” offrono una comprensione più profonda e articolata. Allo stesso modo, nel contesto della violenza sui minori, l’espressione “abuso invisibile” può rendere palpabili le esperienze di bambini che subiscono violenza in modi sottili ma devastanti.
Il linguaggio è uno strumento potente nella lotta contro la violenza di genere e la poesia ha il merito di creare immagine per raccontare il mondo. La poesia sa come esplicitare le strutture già presenti, anticipare la percezione e descrivere l’esperienza; può consentire di percorrere quei passi fondamentali per sviluppare un linguaggio nuovo e consapevole. Questo non solo aiuta a sensibilizzare l’opinione pubblica, ma può anche promuovere un cambiamento culturale profondo, necessario per prevenire e combattere efficacemente la violenza di genere in tutte le sue forme.