«Nascere non basta.
È per rinascere che siamo nati.
Ogni giorno»

(Pablo Neruda)

Caro lettore, adorata lettrice,

capita a tutti di attraversare dei momenti bui, quasi gallerie cieche di cui è impossibile indovinare l’uscita.

Capita anche a me e, dato che sono un iper-volontarista, quando mi si ammala il centro vitale, la fonte della mia onnipotente debolezza, è davvero dura.

In simili momenti, magari dopo aver litigato con una persona dalla quale tutto ti saresti aspettato tranne quello che ora ti ferisce a morte, la mia fortuna è di essere circondato da amici veri a cui poter chiedere aiuto. La mia venerata mamma, che a giorni compirà i 91 anni, mi diceva sin da quando era bambino: «Una testa senza lingua non vale niente». Tradotto: puoi essere o ritenerti un genio, ma se non sai chiedere aiuto, non vai da nessuna parte.

E così io, che genio di sicuro non sono, ogni volta in cui cado in difficoltà, chiedo aiuto, random: il che per me non vuol dire che chieda aiuto a chiunque capiti, ma solo che mi rivolgo a più di un amico o di un’amica, perché credo nell’importanza di ascoltare più campane, in quello che gli esegeti chiamano il principio dell’attestazione multipla e i credenti definiscono come la capacità della Parola di arrivarti contemporaneamente da più canali, indipendenti tra loro e mai interconnessi, eppure sintonizzati nel farti risuonare “quella” Parola e non un’altra.

Tempo fa, sono tornato a fare esperienza di quanto ti racconto. Ho ricevuto una ferita imprevista. Di quelle che, proprio per questo, fanno più male, uccidono, restano difficili da dimenticare e sono tali che il dolore si rinnova, ossessivamente, asfitticamente, ogni volta in cui la memoria torna a sfiorarle.

Tipo quando ti affidi ad una persona e lei ti tradisce, alle spalle. Meglio: alle spalle tue, ma esponendoti al pubblico ludibrio. Facendoti passare per quel che non sei, con una sentenza immediatamente esecutiva e senza possibilità d’appello. Senza che ci sia stata la possibilità di guardarsi negli occhi e provare a chiarire.

Prima o poi ci passiamo tutti. Non credo sia difficile immaginare come ci si senta. È un po’ come morire due volte: muori tu, dentro di te, in silenzio, e muore il “noi” che con quella persona avevi costruito in anni di relazione e cura, cura reciproca.

E così ho chiesto aiuto.

Il primo amico a cui mi sono rivolto innanzitutto mi ha ascoltato profondamente, poi mi ha invitato a essere grato per quanto la Vita mi ha donato e ogni giorno continua a donarmi. Mi ha ricordato il canto del Magnificat: chi lo pratica, sa a cosa io alluda. Una seconda amica, di quelle che misurano le parole, mi ha detto: «Sei arrabbiato. Usala questa rabbia: ti può aiutare». Infine,  un terzo amico, che definire amico è dir poco, dopo aver ascoltato anche lui le mie paturnie, mi ha detto nel suo consueto stile schietto, semplice e diretto: «Esci a fare una passeggiata».

Eccola là: la Vita che torna a chiederti di credere in lei, il miracolo che si ripete, la possibilità di fare un passo alla volta, come ripeto sempre ai miei figli, anche se non sai mai per quando, anche se non ti è chiaro fino a dove, ma nella certezza che la paralisi è morte e che il cammino si dispiega a chi ci crede.

La stessa Vita che ci abita e attraversa. Che ci offre l’opportunità di mostrarci come siamo, nella nostra fragilità e debolezza, il che significa anche dire nella meraviglia del nostro essere semplicemente umani.

Il giorno di Pasqua ad un’amica davvero speciale ho chiesto: «Mandami un po’ della tua energia». E lei: «Alla resurrezione non credo, ma non posso fare a meno di credere nella possibilità di rinascere e ricominciare».

È la stessa amica che mi ha donato i versi di Pablo Neruda già citati in esergo:

«Nascere non basta.
È per rinascere che siamo nati.
Ogni giorno».

Caro lettore, adorata lettrice,

ti faccio una ennesima confessione: io che mi sforzo di perseverare nella fede, io che mi definisco ateo credente o credente mio malgrado, non so dire se creda nella risurrezione oppure no, ma di sicuro ci spero. E credo che la risurrezione abbia inizio sempre “qui ed ora”, un giorno alla volta, a cominciare dalla sete e desiderio di Luce. Un respiro alla volta.

Per il resto, mi affido.

Anna Frank: «Una cosa però l’ho imparata: per conoscere bene la gente bisogna averci litigato seriamente almeno una volta. Solo allora puoi giudicarne il carattere».

Novalis: «Interamente non ci comprendiamo mai, ma potremmo molto più che comprenderci».

Cecelia Ahern: «Ogni tanto tutti ci perdiamo, che sia per scelta o a causa di forze che non possiamo controllare, ma quando impariamo ciò che la nostra anima ha bisogno di sapere, il sentiero si palesa davanti a noi. A volte, vediamo la via d’uscita, ma ci allontaniamo e ci inoltriamo ancora di più nostro malgrado, trattenuti dalla paura, dalla rabbia o dalla tristezza. A volte, preferiamo essere dispersi e continuiamo a vagare, perché è più facile. A volte, scopriamo la strada da noi. Comunque sia, veniamo sempre trovati».

***

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FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

4 COMMENTI

  1. Bellissima questa “confessione”, direttore. Lei è sempre a “nudo”, non certo per esibizionismo ma per necessità. La necessità di sentire la VITA scorrere sulla pelle e di essa NUTRIRSI. SENSIBILITÁ unica, la sua, che la espone al rischio inevitabile di graffiarsi, ogni tanto. Più si e sensibili, più il graffio fa male, brucia! Ma se questo è il rischio da correre per vivere davvero, ben venga! Ben vengano le frustrazioni e le morti, se sono la strada per le resurrezioni. Ogni resurrezione è vita. Vita vera.

    • Caro Vito,
      sono grato per queste parole. Auguro a tutti di essere letti come mi legge lei. Grazie davvero.

  2. Carissimo Direttore, ho letto con attenzione le tue riflessioni sull’accaduto, veri o immaginario che sia, e credo che farsi una camminata all’aria aperta sia conseguente per una sana risposta al problema. È vero che per ognuno di noi si presenta il momento di ascoltare il “fischio del treno” di pirendelliana memoria e di far respirare, in una sola boccata, il mondo intero, sì da restarne ubriachi e dimentichi di tutto. Mettere qualche passo “fuori”, senza recarsi in Siberia o nelle foreste del Congo, aiuta ad aprire un mondo sconosciuto e conoscere appieno la natura di chi lo vive.

    • Grazie mille, Salvatore. Rispondo con le parole di Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani”. Con e attraverso tutte le nostre fragilità. Un abbraccio.

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