
Elio, il sole di Stefania e Silverio, due volti noti ad Odysseo…
“Da solo con il suo splendore, ogni giorno, il sole fa più miracoli delle aureole di tutti i santi messi insieme.” Ma chi osa proferire frasi e considerazioni ardite e controtendenza in un’epoca in cui il pensiero unico, appiattendo le identità, la fa da padrone in tutti gli ambiti del vivere?
La prima volta che prendesti contatto con lei, con una mission, fatta di genuinità e rispetto per la terra, scrivesti: “Le due lancette dell’orologio, l’una sull’altra, fanno all’amore, sono, infatti, le sei e trenta, e le tue carni, provenienti dal tiepido mare, si irruvidiscono quando sbuchi dal veicolo. Ad attenderti, sorridente, all’ingresso del loro podere, Stefania, una bella ragazza bruna, dalle civettuole fossette scavate nel plastico viso, abbronzato dal sole di campagna. È già al lavoro, da oltre un’ora, fasciata da sbrigativi indumenti di fatica. Ti conduce da Silverio il suo uomo, sposato da due mesi, dopo una relazione d’amore avviata mentre, trepidanti, sedevano ancora tra i banchi delle scuole superiori. È alle prese, il giovane marito, dalla corvina chioma svolazzante, con una saldatrice, freneticamente indaffarata nel fissare una vecchia sedia metallica ad un veicolo agricolo appartenuto a suo nonno, contadino di pura razza andriese.”
Poco dopo Stefania racconterà: “Gradualmente, stiamo introducendo anche piante autoctone che meglio sanno difendersi dagli attacchi patogeni, avendo acquisito nel corso dei secoli resilienza ed essendosi positivamente integrate nella cenosi locale.” Pausa, per il recupero di altra padella di piantine che non appena possibile saranno soppiantate con la semina. Come una volta. Aggiunge: “… Siamo consapevoli che di qui bisogna partire per un profondo cambiamento in larga scala, per la tutela e valorizzazione della salute della gente e… del Pianeta. Che langue.”
Hai, oggi, da avanzare una proposta ai due giovani sposi, perché il loro messaggio e la loro esperienza diventino dominanti. Telefoni, quindi, alla ditta agricola “Calì”, ad un tiro di fionda da Castel del Monte. È la calda voce di Stefania ad interloquire. Più festante del solito. Più responsabile del consueto. Più consapevole che mai. Ogni suo pensiero sentimento ed azione, nel rapporto con la natura, deve incanalarsi, ora, ancora più convintamente di prima, nell’unica direzione di marcia realisticamente lungimirante.
Ha partorito da alcuni giorni! È madre di un bel bambino. Bello… come tutti i bambini del mondo! Con più o meno melanina nella pelle. Come i bambini che nascono e crescono nelle baraccopoli di tutti i continenti o nelle ville più sontuose. Come quelli che finiscono sotto le macerie delle case, per i bombardamenti deliberati irresponsabilmente dal mondo civile, progredito… solo tecnologicamente, o per le catastrofi (alluvioni, frane, terremoti) in qualche modo spalleggiate o fiancheggiate per negligenza o colpevole aggressione della natura. Come quelli che riposano per sempre sul fondale del Mediterraneo.
Nella vita quotidiana, Stefania dovrà prendersi cura del piccolo, che, allertandola, le ricorda, mentre conversate, il rintocco dell’ora della poppata o il cambio dei pannolini o la canicola estiva. Ma non può trascurare neppure le pianticelle dei campi, affamate o agonizzanti per il solleone. Lavora già intensamente come faceva tua nonna, che il giorno dopo il parto, alla prese con la brezza del mare, in prossimità della battigia, setacciava la pula dal grano. Come tua madre, le cui braccia, quando il lavare la biancheria era una strenua fatica, sciabordavano le acque della tinozza ammantata di schiuma “con tonfi spessi e lunghe cantilene.” Non ha tempo per fare shopping o decorarsi alla laccatura delle unghie dei piedi. Ha ben altro a cui pensare, molto più importante.
Non ti fa, quindi, meraviglia la sua immediata e sentita adesione alla proposta di presenziare, a Bisceglie con i loro progetti di agricoltura biologica ed i prodotti genuini della loro terra, alla presentazione del libro di Franco dell’Orco, scrittore, e Salvatore Memeo, poeta. In fondo, anche lei e suo marito producono poesia, con l’attaccamento alla terra degli avi, con la fantasia e l’immaginazione di ogni giorno.
“Allora – le chiedi – “che nome avete scelto per vostro figlio?” Non ti sorprendi, anzi riscontri nel contenuto della risposta piena coerenza con lo stile di vita adottato. Amano le tradizioni, e forse nessuno più di loro poteva fare a meno del nome del nonno materno o paterno, due splendide figure, da offrire come modello per la vita. Angelo, pediatra e Michele valente artigiano. Che non hanno minimamente ostacolato un progetto esistenziale e professionale che farebbe arricciare il naso a tantissima gente autoreferenzialmente acculturata, esclamando con bile traboccante: “Come, due laureati vi mettete a fare i contadini!?”
Neanche hanno attinto dal cestino dei nomi che vanno di moda, quelli dei vip del mondo della spettacolo o del calcio. No! Con umile orgoglio, Stefania, completando la premessa iniziale, prorompe: “Nostro figlio si chiama ‘Elio’, il dio greco del sole, che rende possibile la vita sulla Terra.” Non ti meraviglieresti se un domani i tuoi amici, Stefania e Silverio, che rivolgono la loro attenzione al satellite della Terra per le varie operazioni di semina, messa a dimora, coltura, raccolta, alla bambina dal faccione rotondo e due plastiche fossette, come la madre, per gratitudine, donassero il nome “Luna”.
Né arricceresti il naso se davanti al pubblico ufficiale dell’anagrafe nel declinare il nome del/della nascituro/a gli interpellati rispondessero “Acqua”, “Aria”, “Luce” “Suolo”, “Ofanto”, “Mare”, “Erba” “Alga”, ecc., in omaggio a quelle risorse, che oggi vengono taglieggiate, sfruttate, vilipese o contaminate con pesticidi, glifosate. Beni collettivi, che, invece, andrebbero strenuamente difesi, se non adorati. Santificati. Come facevano i Greci che vedevano manifestazioni della sacralità in ogni entità naturale.
Sono loro, i protagonisti ed i figuranti della natura, dalle risorse limitate, che fanno miracoli. Quotidianamente. Non solo per gli uomini, gravemente ammalati di antropocentrismo, ma per tutti gli esseri viventi. Né c’è bisogno, inginocchiandosi, di pregarli perché intercedano, come se fossero dei faccendieri, anche se a fin di bene. Basta semplicemente riconoscerli nella loro dignità, rispettarli e governarli con amore. Le grazie, cioè i frutti, saranno sani e copiosi. La qualità della vita, elevata.
“Grazie, Stefania e Silvestro. Auguri per il vostro luminoso pollone e… per tutti gli esseri che si affacciano gagliardi e baldanzosi alla vita”.