
«Solo chi perdona può parlare di pace»
(don Tonino Bello)
Narra Esiodo che Eirene, dea della pace, figlia di Zeus e Temi, faceva parte delle Ore, un gruppo di divinità legate all’ordine cosmico e alle stagioni. Le sue sorelle erano Eunomia, dea dell’ordine e delle leggi, e Dike, dea della giustizia.
Madre e maestra di civiltà, l’antica Grecia: tre nomi, tre divinità, tre sorelle, per dire che non c’è pace né ordine sociale senza giustizia.
Non è tutto. Eirene veniva spesso rappresentata con una cornucopia, simbolo di abbondanza: perché anche la prosperità manca laddove non c’è pace.
E vorrei dire, con amarezza: c’è abbondanza anche in guerra, ma solo per i mercanti di morte, per chi produce e vende armi, con beneplacito delle cosiddette “banche armate” & C.
Torna alla mente una commedia di Aristofane, intitolata proprio “La pace”, rappresentata ad Atene nel 421 a.C., in un periodo storico in cui la città-stato era impegnata nella Guerra del Peloponneso. Racconta che il contadino Trigeo vola sull’Olimpo per riportare Eirene sulla terra. Riesce nella miracolosa impresa, anche con l’aiuto degli dei, ma al suo arrivo ad Atene le reazioni sono le più svariate: dalla gioia incontenibile del popolo si distinguono il buon viso a cattivo gioco dei governanti – che dalla guerra ricavavano ricchezza e potere – e la rabbiosa contestazione dei mercanti di armi che ad Eirene oppongono un netto rifiuto. Un rifiuto che persiste ancora oggi, e in termini sempre più drammatici.
Eppure, caro lettore, adorata lettrice, ti ripropongo Esiodo e Aristofane: a ricordarci che la pace non è il frutto di una scelta passiva, non è rassegnazione, non ha nulla a che vedere con il “mettersi l’anima in pace”.
La pace va costruita, ricercata, accolta ogni giorno.
Il verbo “costruire” non lo uso a caso. Mi rimanda ad un incubo di fondo cristallizzato nel racconto dell’Iliade: lo potremmo riassumere con l’ossessione per cui una città, e una civiltà, possono essere rase al suolo. I Greci ne sono stati artefici, ai danni di Troia. Di lì in poi hanno convissuto con la consapevolezza che chi distrugge può essere distrutto, prima o poi…
In altri termini: la pace costruisce se viene costruita, rade al suolo se viene scacciata via dalla legge del più forte e dall’assenza di giustizia. Manca Eumonia, manca Dike, muore Eirene: e muore la città.
Con tutti i suoi figli.
A cominciare da donne e bambini.
Il riferimento all’attualità è fin troppo scoperto: de hoc satis.
Simone Weil: «Il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell’Iliade è la forza. La forza usata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae. L’anima umana vi appare di continuo alterata dai suoi rapporti con la forza: trascinata, accecata dalla forza di cui crede di disporre, curva sotto il giogo della forza che subisce. Chi aveva sognato che, grazie al progresso, la forza appartenesse ormai al passato, ha potuto scorgere in questo poema solo un documento; chi invece, oggi come allora, individua nella forza il centro di ogni storia umana, trova qui il più bello, il più puro degli specchi».
Don Tonino Bello: «Solo chi perdona può parlare di pace. E a nessuno è lecito teorizzare sulla non violenza o ragionare di dialogo tra popoli o maledire sinceramente la guerra, se non è disposto a quel disarmo unilaterale e incondizionato che si chiama “perdono”».
Gino Strada: «Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra».
Nel mondo non ci sarà mai Pace finché si vorrà portare in terra con un disegno collettivo, cioè politico. Come la morte entra a poco a poco nella vita e la malattia nasce da una sola cellula infetta per manifestarsi in tutto il corpo, così la pace, cresce silente in noi a partire da un singolo uomo e poi oer la complessione universale tra tutti gli uomini spunterà improvvisa nella nuova stagione. Noi seminiamo, sarchiamo e concimiamo,ma è Dio che dà augunentum.