«Queste creature si levano verso di me con una tale pienezza, una tale presenza d’amore, che il mio occhio letificato non riesce a scorgere dattorno nulla che sia morto»

(Hugo von Hofmannsthal)

È nato tre giorni fa, si chiama Alessandro, ha anche un cognome, è un uomo definito. Sì, un uomo, perché Dio mi scansi e liberi dal pensare mai che un neonato sia il satellite di un adulto. 

Lui è lui, ripeto, si chiama Alessandro, ha un nome.

L’ho  guardato ed osservato mentre dormiva nel suo lettino, le mie braccia hanno vinto contro ogni forza che voleva impedirmi di sfiorarlo: lo hanno raccolto ed accolto. E lì è finito tutto, perché come ogni volta in cui finisce qualcosa, c’è un inizio molto più grande. 

La contemplazione. 

Come fosse la prima volta in cui guardi qualcosa senza poter pensare a niente: puoi solo ammirare, come per la teofania di Giobbe quando Dio, al suo più pio figlio divenuto miscredente, diede un sonoro schiaffo in faccia, senza toccarlo. Gli mostrò, in tutto il suo splendore, il creato.

E la mente non può comprenderlo e contenerlo, può solo contemplare in silenzio, perché il  contenuto della meraviglia ha dimensioni immensamente maggiori del contenitore che si affatica  per  comprenderla. 

Nondimeno, quel contenitore diventa tanto più grande da non affannarsi più, finalmente fa silenzio e spazio, riconoscendo fisiologicamente la sua impotenza.

Scoperta la sua fragilità, allora, fa pace con sé stessa e ascolta.

La vita.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.