«Fratello, visto cosa può fare la fede?
Può fare miracoli, soprattutto se la metti nella canna di un fucile»
(Dal film Lo chiamavano Trinità)
Il primo messaggio trovato stamattina, che giaceva sul cellulare da ieri:
– Secondo te si capisce la spiegazione della Trinità?, con un file word in allegato.
Ehhh, ma buongiorno! Il domandone: la Trinità, il trifoglio, la convivialità delle differenze. Sì, si capiva. E con un sì, ho risposto, sebbene avrei voluto dire che la Trinità non si capisce, se non si sente.
Non l’ho fatto, però, perché mi è tornato in mente uno dei più lucidi, colti e onesti uomini di Chiesa io abbia mai conosciuto, al quale domandai perché a me raccontasse certa faccia della Verità e in parrocchia no.
Myriam, mi disse, le vecchiette che vengono da me chiedono conforto, non Verità razionale: dare a loro ciò che dò a te significa confonderle, tentarle, negare loro l’aiuto. Tu non vieni da me a messa, ma mi raggiungi in un luogo dove ti accompagna la sete di virtute e canoscenza.
Orbene, chi mi ha scritto stamane forse voleva solo sapere se l’italiano fosse fluido e se il concetto passasse: dunque, sì, il concetto passava. Eppure non era. Ma non c’era peccato, errore, sbaglio, confusione. Dottrina che a catechesi doveva rispondere e a catechesi rispondeva. Pulito, lineare, esemplificativo: quello, la Trinità.
Solo non diceva che la madre tanto è madre perché c’è un padre, il padre tanto è padre perché c’è una madre, il figlio tanto è figlio perché ci sono i genitori. Assomigliava, invece, molto di più alla spiegazione che ne fa Gresake, il quale pure ci prova a dire che l’esempio più calzante in terra sta nel concetto di famiglia, ma si perde nel marasma dei massimi sistemi e lascia cadere la semplicità del suo stesso discorso.
Uguali ma differenti, uniti e non confusi: io così simile a te a trasformare il suono della rabbia, canta la Pausini, io così simile a te un bacio in fronte e dopo sulle labbra, la meraviglia di essere simili, la tenerezza di essere simili, la protezione tra esseri simili.
E mentre ripercorrevo il testo di quella canzone, la coscienza scalpitava: la spiegazione di quel file word era destinata a un pubblico e non era giusto io me ne lavassi le mani. Non potevo, era contro la mia natura.
Allora ecco un successivo messaggio inviato:
– È chiara, ripeto. Ma prova a pensare una cosa: io esisto solo se tu mi vedi. E tu puoi vedermi, facendomi esistere, solo se resti te stessa e contemporaneamente apri le braccia per accogliermi, nel mio essere altro da te. Non cambi e non cerchi di cambiarmi. Il tutto mentre resti. Questo è la Trinità.
Risposta?
– Lo sapevo che dovevo chiedertelo. Trinità quindi è: sono, ci sono, ti accolgo. Sei, ci sei, mi accogli. Qualcosa di Alto ci guida in questo processo. Io-tu-Noi.
Il mittente mi ha telefonato, subito dopo, ridendo: però potevi dirlo prima che bastavano due righe ed evitavo di perdere una serata intera a scrivere!
Potevo dirglielo prima, secondo lei. Magari!
La verità è che non credo affatto bastino due righe, ma penso siano un buon inizio. Entrando in una stanza, conviene chiedere permesso, prima di urlare “Salve, sono io!”.
Chissà se è chiaro.