«Cera un tale, forse Rubinstein, che quando gli avevano chiesto se credeva in Dio aveva risposto: Oh no, io credo… in qualcosa di molto più grande…” Ma cera un altro (forse Chesterton?) che aveva detto: da quando gli uomini non credono più in Dio, non è che non credano più a nulla, credono a tutto»

(Umberto Eco)

Come può un uomo, per quanto tediato dalla sorte, fare della sua esistenza un monotema?

Ma davvero riuscite a credere che un essere umano possa iniziare e finire all’interno del confine che appare essere il suo? Così fosse, toccherebbe averne pena: sarebbe in un lager.

Io no, non ci ho mai creduto e non inizierò probabilmente mai a farlo. Ecco svelata la ragione per la quale osservo, osservo incessantemente: nessun uomo si esaurisce in quanto dice. Piuttosto, ciascun uomo inizia in quanto tace.

Pensateci, se potete: vi è mai capitato di incrociare uno sguardo sconosciuto ed istantaneamente convincervi che lì dentro ci fosse un universo? Se la risposta è sì, sapete anche che quella prima impressione non può essere scardinata da nessuna cattiva azione. Conosco gente oggettivamente insopportabile ed infrequentabile di cui, però, non posso fare a meno di custodire il primo sguardo e, confesso, con quello la convinzione di non essermi sbagliata. Prima o poi quell’universo si paleserà, a contrastare tutte le evidenze contrarie.

Così come mi chiedo se vi sia capitato di conoscere persone che sono visibilmente grandi emisferi e contemporaneamente grandi abissi, eppure il loro sguardo non ha aperto grandi portoni. Sono le persone che mi risultano più noiose, lasciano la sensazione che no, non saranno in grado di stupire e ribaltare le sorti del primo acchito.

Il terzo tipo, altresì, include le persone (potrei usare il singolare, stante la rarità) di cui è facilissimo cogliere l’enormità ed insieme a quella hanno anche lo sguardo dei primi: l’infinito e oltre. Sapete quel genere di persone da cui converrebbe guardarsi? Illimitatamente limitate e contemporaneamente senza fine dietro ogni virgola. La fermezza della punteggiatura, il rispetto della grammatica della vita e la totale pazzia di chi sta in piedi a testa sotto. Tocca saper nuotare bene, per non annegare. Se poi si ha la fortuna di aver già imparato, ancora confesso, la fatica in questi casi si rivela come tutto guadagno. Provate un po’ a farle reggere davvero sui piedi, certe persone: perse.

Sono anni che mi chiedo perché sia capitata giusto a me la fortuna (o la pena?) di scorgerle certe sfumature. Come dire che dove non c’è complicazione, c’è noia. E dove c’è noia, spesso si è costretti a lasciare il campo. Non è supponenza, ma personalmente devo scostarmi, mi addormento, non vivo, smetto di esistere.

Allorché penso:

che Dio non mi faccia mai mancare i sassi nelle scarpe, perché più cresce il fastidio, più è bello liberarsene; che Dio mi regali la pena del fallimento dei neuroni, perché un tale evento comporta la necessità di avere dei neuroni; che Dio non mi tolga i terremoti ed i loro detriti, la rabbia che si fa adrenalina, i crolli e l’insolvenza; che Dio mi lasci le pause dei due punti, il senso del punto e virgola, le domande degli interrogativi e gli stop degli esclamativi; che Dio non prenda mai solo per sé i calci negli stinchi: quelli dati, prima di quelli ricevuti, perché quando tornano indietro ti ricordano quanto fanno male e ti insegnano tanto a tenere i prossimi, quanto a non darne altri; che Dio si sforzi di ricordarmi che non devo essere paziente, quando questo significa che devo arrendermi o sopportare contro il mio stesso grado di tolleranza, quindi accettare di far soccombere ogni volta una parte di me; che Dio mi lasci continuare ad avere a che fare con la cultura dell’usa e getta, perché serve a ricordare la gioia delle cose durevoli. Ed infine, che Dio mi conceda di ricordare l’importanza del tempo, perché come insegna Gandhi, noi occidentali abbiamo l’ora, ma mai il tempo… e quello, mutuando Josorowky, dissolve il superfluo e conserva l’essenziale.


FonteSalvador Dalì: "La persistenza del tempo"
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.

2 COMMENTI

  1. Che dire? Ho sempre pensato e ribadito che ogni minuto dentro Odysseo fosse un regalo e anche una fatica da vice direttore. Avere avuto il piacere di incontrare la tua scrittura e quella tua “grazia umana”. Non è mai stato necessario rendere presentabile, sistemare, bastava solo pubblicare. Lasciamo pure il dio irraggiungibile delle grandi cose a uomini piccoli che devono nascondersi necessariamente dietro qualcosa, teniamo ben custodito il dio delle piccole cose, quello dei “segni” portati dai noi esseri umani.

  2. I tuoi sono sempre grandi regali, Damiano. Questa volta è anche doppio: la delicatezza della grazia umana vista e comunicata, per cui non finirò mai di ringraziarti e la conferma (non necessaria ma sempre gradita) che il direttore, depositario delle mie parole in anteprima, abbia abbracciato in modo così sincero, onesto e paterno la mia penna, da comunicare anche a te la sua personalissima scelta di non modificarne mai una virgola. Ne vado fiera e ne faccio luce per tutti i miei limiti ed i miei tunnel. Un abbraccio sincero a te, osservatore attento e mai stanco

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