«Gli italiani, se ci si mettono di picca, non muoiono neanche se li ammazzano»

(Giovannino Guareschi)

C’era una volta un meraviglioso Paese il cui splendore era indubbio per chiunque ne conoscesse l’esistenza. Tutti coloro che non avevano avuto la fortuna di nascerci nutrivano una certa malinconia inespressa: avrebbero conosciuto quella realtà, nessun essere in vita poteva ignorarne la sussistenza e avrebbe finito per desiderare di aver emesso lì il primo alito di vita. Ogni essere umano, di fatto, aveva due patrie: la sua personale e l’altra, che era quel Paese.

Quel luogo, se vogliamo, non era che un puntino al cospetto di ben altri titani del potere e dell’economia, moderni e senza radici che però, probabilmente, ne avevano avuto storicamente paura per aver spesso visto in quella miniatura, un’orribile minaccia.

Era la bellezza il minimo comune denominatore di tutti i suoi angoli: oltre cinquanta patrimoni dell’umanità diramati per tutto il territorio, un numero che nessun altro luogo poteva vantare.

Sorgeva lì anche il più antico orto botanico del mondo; i vitigni che occupavano quel Paese per tutta la sua estensione, erano esattamente come le popolazioni stanziate in un territorio da tempi tanto remoti da non poter pensare non avessero avuto vita direttamente lì: nessun altro stato poteva decantare un numero di coltivazioni autoctone più alto.

Aveva oltre cinquecento varietà di alberi di ulivo: Leccino, Frantoio, Moraiolo, Biancolilla, Coratino, Ogliarolo, Moresco, Casaliva, Nocellara, Majatica, Salella, Carolea, Raja, Pignola, Taggiasca, Orbetana, Cellina, Pendolino, Pibireddu, Tonda Iblea e tanti, tantissimi altri. Il secondo luogo al mondo ad averne di più, ne contava solo settanta.

Ci sarebbe da chiedersi se un posto così tanto baciato dai doni della natura, potesse vantare una storia altrettanto grandiosa: in realtà bisognerebbe imbarazzarsi anche solo a nominarla, basti provare ad immaginare che lì c’erano centomila chiese,  quarantacinquemila castelli, quattromila musei, aree archeologiche ed ecomusei, oltre a seicentotrenta complessi monumentali.

La più antica Università del mondo occidentale aveva visto la luce lì, non aveva mai smesso di funzionare ed era nata molto prima di nomi altisonanti quali La Sorbona, l’Oxford College, la University of Cambridge.

L’arte culinaria? Poteva non essere anch’essa indiscussa? Nessun altro Paese enumerava la stessa quantità di riconoscimenti Di Origine Protetta edIndicazione Geografica Protetta; nessuno era mai riuscito a pareggiare la maestria  di quel popolo in fatto di moda e design, innovazioni e ricerche dedicate.

Era un popolo di viaggiatori che spesso, però, non conosceva la propria casa: Egna, Saturnia, Castiglione del Lago, Scanno, Arquà Petrarca, Locorotondo, Polignano, Alberobello,  Vipiteno, Pretoro, Erice, Ortona, Ravello,  Recanati, Tellare, Gerace, Pienza, Brisighellla, Bosa, Sciacca, erano solo alcuni (pochissimi rispetto ai reali) dei piccoli e grandi borghi che non esprimevano altro se non passione, storia e tradizione.

E i nomi? I nomi degli uomini e delle donne di quel popolo che avevano spesso cambiato il corso delle sorti dell’intero globo? Per trecento anni c’erano state guerre, terrore, criminalità, spargimenti di sangue, che avevano prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento… ma ancora nomi: Giulio Cesare, Mazzini, Raffaello, Giotto, Botticelli, Bernini, Dante, Colombo, Mazzini, Volta, Meucci, Marconi, Benedetto Croce, Togliatti, De Gasperi, De Sica, Fellini, De Curtis, Verdi, Vivaldi, Carducci, Leopardi, Manzoni, D’Annunzio, Foscolo, Moravia, Pavese, Pellico, Quasimodo, Tasso, Ungaretti, Deledda, Merini, Belgiojoso,  Giussani, Pirandello, Pasolini, Calvino, Gentileschi, Montessori, Deledda, Levi Montalcini, Cristoforetti, Hack, saltandone ancora centinaia.

Altrove avevano vissuto in amore fraterno, avevano alle spalle cinquecento anni di pace e democrazia e cosa avevano prodotto? L’orologio a cucù.

Ebbene sì, c’era una volta l’Italia e c’erano gli italiani: un Paese ricco di contraddizioni, colto ed amabile, indisciplinato e disordinato, imprevedibile ed incatalogabile. Aveva da sempre catturato ed imprigionato l’attenzione esterna, suscitando grande rispetto, specie durante le peggiori tragedie: un popolo altruista e coraggioso davanti a catastrofi inenarrabili, che in verità, mai sarebbe stato annoverato fra coloro che non sarebbero riusciti a superare le avversità.

Il problema? Una tale alta considerazione dell’Italia era praticamente inscritta nel DNA di tutti gli altri popoli, molto meno in quello degli italiani stessi i quali agivano come se, vivendoci dentro, avessero perso la capacità visiva ed emotiva per riconoscere a sé stessi cosa erano stati, cosa erano e cosa avrebbero potuto tornare e continuare ad essere.

Erano lamentosi e criticanti, eppure quando venivano attaccati dall’esterno ritrovavano il loro senso di italianità. Non consentivano gli oltraggi degli altri nei momenti peggiori ma, storicamente, nei momenti di stanca o di tregua, sempre dimenticavano e tornavano a biasimarsi gli uni con gli altri, a redarguire il sistema e tutti i suoi combattenti.

Era un Paese che non aveva ancora trovato il modo di convincersi davvero che la migliore qualità (fatta anche di quantità) apparteneva solo a lui, non si curava di sé e nutriva l’estero, lasciava che questo acquisisse i suoi marchi e si illudesse di poterla fare da padrone.

Nondimeno gli italiani amavano la loro Italia e ci fu un momento storico, fra gli altri, in cui si trovarono ad affrontare una tragedia fra le tragedie. Impararono così ad apprezzare ciò che loro avevano e che mai nessun altro avrebbe potuto avere: la fiera baldanza di poter vantare quella nazionalità tricolore e l’onore di possedere un passato che li aveva resi grandi, assolutamente impareggiabili.

E niente, un giorno, ho fatto un sogno…

(Ecco l’Italia  – Renzo Pezzani)

Se incontri una donna giovane,

forte, bella, con in braccio il suo

bambino e un pane nella mano,

quella è lItalia.

Se vedi un contadino arare il

campo, mietere il grano, quello è

lItalia.

Se vedi un marinaio sollevare

l’àncora dal mare e stendere la

vela, quello è lItalia.

Se vedi un soldato ubbidire al

comando dun superiore, quello è

lItalia.

Se vedi un mutilato di guerra,

quello è lItalia.

Se vedi una donna piangere

sulla tomba dun Caduto, quella

è lItalia.

Se senti una voce che dice:

– Coraggio! Nel lavoro e nella

concordia godremo la libertà e la

pace, – è lItalia che parla.


Fontepixabay.com
Articolo precedenteÈ l’autunno dei desideri
Articolo successivoFantasticava Kafka
Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.

1 COMMENTO

  1. “Nonostante tutto, sempre, può valerne la pena”
    Nonostante ogni avversità, ogni pregiudizio, ogni incomprensione la vita vale la pena di essere vissuta, con curiosità, gioia ed un pizzico di follia.
    Grande Miriam

Comments are closed.