UNA RECENSIONE DI ALESSANDRO MONTRONE

Paolo Farina possa perdonarmi, ma l’espressione un Caffè con Dante, per quanto ne conosca e condivida le ragioni alla base, mi sembra comunque impropria. Io piuttosto questo suo appuntamento di riflessione settimanale l’avrei chiamato un Aperitivo con Dante, perché proprio come un aperitivo – appetizer, dicono gli inglesi – mette appetito, mette fame (di conoscenza), mette voglia di leggere: non è un semplice invito alla lettura, ma un invogliamento. Io stesso – che ho divorato la raccolta Cento (e uno) caffè con Dante tutta d’un fiato – sono stato sin dalle prime pagine pervaso dal desiderio di riprendere la Commedia; e nei giorni successivi ho riletto con piacere alcuni passi a me già noti, scoprendo nuove suggestive interpretazioni; e con ancora più piacere ne ho rispolverati altri che invece avevo colpevolmente dimenticato.

Il Poeta si definiva un ponte, ossia un tramite tra il nostro mondo e le verità eterne; Farina, più umilmente, si definisce un ponte del ponte, ossia un tramite che consente, anche alla persona meno interessata, di avvicinarsi a Dante. È vero. E con umiltà confessa d’aver imparato quest’arte dal confronto coi suoi studenti che, scevri dalle sovrastrutture della vita adulta e della cosiddetta cultura, sono stati capaci di scorgere in alcuni passi del poema una luce particolare.

Il tema di fondo del libro è proprio la lettura della Commedia – Farina è innanzitutto un lettore di Dante –, e più in generale la lettura dei testi classici, il nostro rapporto con essi, l’utilità che se ne trae, la funzione che tutt’oggi svolgono o, mi correggo, dovrebbero auspicabilmente svolgere.

Questa lettura viene intesa da Farina come un dialogo – un caffè appunto – tra lettore (Paolo) e scrittore (Dante). Un dialogo fisicamente impossibile e per questo giocoforza fantasmatico; un dialogo transgenerazionale, trans-epocale direi, ma in ultima analisi una conversazione familiare in cui il figlio (Paolo) ammette la grandezza del padre (Dante) e lo ringrazia per il dono della lingua italiana, quella che ha contribuito a definire il nostro particolarissimo modo di pensare e quindi di essere. Ma d’altronde il figlio non perde occasione per criticare aspramente molte posizioni del padre che oggigiorno riteniamo non condivisibili. Insomma, un rapporto controverso e ambivalente come ogni buon rapporto filiale.

Ma, a un livello più profondo, il lettore, Paolo stesso, scopre amaramente che non dialoga con l’autore – morto – bensì con l’opera, che è cosa ben diversa. Semplificando, l’opera costituisce una ricombinazione creativa delle esperienze personali dell’autore, una creazione in cui le sue verità – fossero solo verità soggettive ma pur sempre verità – trascendono l’autore stesso per cristallizzarsi nel linguaggio dell’arte: la bellezza. L’opera d’arte, e non solo quella letteraria, è bellezza che veicola verità; nel caso dei testi classici, verità tutt’oggi valide, che noi per questo riteniamo (ribadisco: riteniamo) eterne e universali.

Questo attingimento della verità tramite la bellezza, questo dialogo impossibile che noi chiamiamo lettura, si svolge – Farina ne è testimone – secondo due paradossi.

Il primo: IL LETTORE SCRIVE IL LIBRO. Avete letto bene: il lettore, non lo scrittore. È il lettore che, ripercorrendo il sentiero a suo tempo tracciato dallo scrittore, infonde nuovamente la vita in lettere che altrimenti resterebbero morte; e lo fa in maniera personale, personalissima, interpretando quel testo a modo suo, secondo la sua particolarissima sensibilità, tant’è che lo stesso medesimo libro letto da due persone diverse è di fatto due libri differentissimi: la Commedia letta da me non è la stessa Commedia letta da Paolo, che a sua volta è differentissima da quella letta da Mario, da Trifone (nome non causale) e così via… tante Commedie quante sono le persone che la leggono. E mi spingo anche oltre: lo stesso testo letto dalla stessa persona in momenti diversi della sua vita diviene di volta in volta un testo diverso per quella stessa medesima persona.

Paolo Farina d’altronde è diretto testimone di tutto ciò, perché leggendo e rileggendo la Commedia ha preso nota della sua propria personalissima (ri)scrittura di essa, ha messo nero su bianco le riflessioni che in lui di canto in canto (tutti e cento) sono scaturite, e ne son venuti fuori i suoi famosi cento (e uno) caffè danteschi, i quali, benché mettano voglia di leggere la Commedia, non sono propriamente la Commedia: sono tutt’altro, sono cultura. Che poi, cos’è la cultura se non anche la continua interpretazione e reinterpretazione dei testi classici? Tutte le grandi culture, se fate caso, progrediscono nel continuo, ambivalente e controverso rapporto coi testi classici. Paradossalmente, possono anche non essere condivisi affatto, ma quantomeno rappresentano un punto di partenza. E se non si parte, non ci si incammina (Carmelo Bene non concorda, ma lasciamolo stare, per ora).

E veniamo al secondo paradosso: IL LIBRO LEGGE IL LETTORE.

Quante volte, leggendo un libro, e soprattutto un classico, siete stati pervasi dalla sensazione che l’autore stesse descrivendo, con parole molto più appropriate delle vostre, una condizione che anche voi avete vissuto? Quante volte siete arrivati a convincervi che il libro quasi vi conoscesse molto meglio di quanto voi non conosciate voi stessi? Quante volte vi siete sentiti “letti” dal libro che stavate leggendo?

Si tratta di un’impressione, una semplice illusione, ovvio, il cui banalissimo trucco può essere svelato con estrema facilità: se il testo classico contiene verità tutt’oggi valide, vien da sé che un lettore possa riconoscersi in esse, approvando in pieno la lettura che il libro offre della condizione umana.

Insomma, leggere i classici significa attingere, attraverso la bellezza della letteratura, delle verità (che reputiamo) eterne e universali e che ognuno di noi, paradossalmente, declina in maniera personalissima contribuendo a vivificarle con interpretazioni sempre nuove.

Lo sappiamo bene, la lettura è in genere un’esperienza di per sé piacevole, è il piacere della scoperta scompagnato rispetto alla sofferenza del vivere: in chi legge il piacere prevale sul dolore, e il dolore stesso nella lettura si fa piacere. Leggere non allunga necessariamente la vita, ma di certo piacevolmente la allarga in quanto ci permette di vivere in una esistenza più esistenze: così il lettore di Dante fa tesoro dell’esperienza di Paolo e Francesca, del conte Ugolino, di Pier delle Vigne, di Ulisse – senza però soffrirne le atrocissime pene. Leggere è vivere tante vite possibili, è de-centrarci, ossia cercare di uscire da noi stessi per metterci nella prospettiva degli altri, è un vero e proprio esercizio di empatia che giocoforza promuove la crescita umana. Parafrasando liberamente il buon Goethe: allontanarsi dalla realtà per capirla meglio.

E dove avviene tutto ciò? Dove si svolge questo dialogo, questa fusione direi, tra lettore e autore o, meglio, tra lettore e opera? Beh – dovrò deludervi – forse da nessuna parte o, meglio, in quel luogo (della mente) dove tutto è possibile: dov’è quindi possibile interloquire, come ha fatto anche Dante, con chi non c’è più, con i morti; dov’è possibile interagire con chi non c’è mai stato, con le creature mitologiche; in quel luogo dove è possibile perfino gettare lo sguardo nell’umanissimo mistero di Dio e tornarne vivi, più vivi che mai!

Cos’è la letteratura se non tutto questo?


Articolo precedenteRimane intelligente, poi, nel tempo
Articolo successivoVERTIGINI
Chi siamo? Gente assetata di conoscenza. La nostra sete affonda le radici nella propria terra, ma stende il proprio orizzonte oltre le Colonne d’Ercole. Perché Odysseo? Perché siamo stanchi dei luoghi comuni, di chi si piange addosso, di chi dice che tanto non succede mai niente. Come? I nostri “marinai/autori” sono viaggiatori. Navigano in internet ed esplorano il mondo. Sono navigatori d’esperienza ed esperti navigatori. Non ci parlano degli USA, della Cina, dell’Europa che hanno imparato dai libri. Ci parlano dell’Europa, della Cina, degli USA in cui vivono. Ci portano la loro esperienza e la loro professionalità. Sono espressioni d’eccellenza del nostro territorio e lo interconnettono con il mondo. A chi ci rivolgiamo? Ci interessa tutto ciò che è scoperta. Ciò che ci parla dell’uomo e della sua terra. I nostri lettori sono persone curiose, proprio come noi. Pensano positivo e agiscono come pensano. Amano la loro terra, ma non la vivono come una prigione. Amano la loro terra, ma preferiscono quella di Nessuno, che l’Ulisse di Saba insegna a solcare…

LASCIA UNA RISPOSTA

Please enter your comment!
Please enter your name here