
La magnifica seconda volta
Ha chiuso i battenti, nei giorni scorsi, la mostra allestita nel castello di Conversano su Marc Chagall. Più di 30 mila visitatori accolti, da aprile a gennaio.
Nelle sale del castello, oltre 100 opere, tra dipinti, disegni e incisioni, hanno illustrato la sua opera e la sua vita.
Non sono un’appassionata d’arte ma questo nome è veramente altisonante per non meritare una visita e, a conti fatti, l’esperienza è stata superiore alle aspettative.
Ben curato l’allestimento; illuminante la scelta di seguire il percorso attraverso un’audioguida che illustrava i lavori più significativi.
Nelle sue opere l’artista riporta la sua vita, segnata da eventi drammatici che ne hanno condizionato l’esistenza.
“Sono nato morto” dirà per sottolineare che il giorno stesso della sua nascita, la città in cui era nato, era stata messa a ferro e fuoco da un’invasione nemica.
Nei particolari delle sue tele ci racconta dei luoghi della sua infanzia ed emerge questo continuo ritornare al passato, tipico della gente esule, costretta a fuggire, a lasciare i luoghi natali, per cercare pace e rifugio altrove.
Quasi costante, la presenza di animali, sparsi sulla tela nelle posizioni più disparate; capre violiniste, cavalli e pesci alati, galletti rossi, mucche bianche e asini verdi richiamano ad un intreccio tra tradizioni religiose e racconti antichi, una mescolanza di sacro e profano, qualcosa di miracoloso, di irrazionale, in cui tutto può essere accettato come manifestazione del divino. Ancora richiami al passato, ad una terra, una regione dell’impero russo, ricca di leggende, e ad una religione, quella chassidica, di derivazione ebraica, ricca di simbolismi in cui il Divino è rappresentato e presente ovunque.
Ma, per me, Chagall resta il pittore dell’amore.
Avvolti nei toni del blu, i suoi amanti, fluttuano nell’aria, si aggrovigliano, fluidificano le loro forme oltre il possibile e si perdono tra i ricordi del passato.
I suoi amanti. Lui stesso e Bella Rosenfeld, figlia di un ricco gioielliere ebreo, incontrata nel 1909, quando ancora era un giovane apprendista squattrinato e sconosciuto e sposata nel 1915.
Bella era la sua musa ispiratrice, la consigliera; la sua donna ideale.
È un amore assoluto, in grado di condurre oltre la forza di gravità, quello vissuto da Chagall e rappresentato iconograficamente dal volo degli amanti stessi.
Un amore in grado di unire con un filo invisibile, come in uno dei dipinti più celebri, “La Passeggiata”, e che solo la morte di Bella, avvenuta nel 1944, potrà recidere.
“Tutto è divenuto tenebre” dice l’artista che rifiuta la vita “monca” della presenza di Bella e smette di dipingere per nove mesi.
Riprende i pennelli ma dalle sue tele è scomparsa la leggerezza, la gioia di vivere; sono scomparsi i blu con cui ammantava l’amore; permane ancora la presenza di Bella, ma compaiono simboli e rappresentazioni del dolore per la sua perdita.
Più tardi, un nuovo amore lo riporterà “in vita”. Una nuova musa ne ispirerà il lavoro.
Sarà Valentina Brodsky, detta Vava, una donna di 25 anni più giovane di lui che sposerà nel 1952 e lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni.
Vava è terrena. non vola. Il loro amore, un amore più “fermo”, solido.
Il ritratto di Vava troneggia nell’ultima parte del percorso museale ed è il souvenir che ho scelto di portare con me, a casa.
Badate bene, non l’originale, ma una copia in vendita nel negozio allestito all’interno del Castello. Mi ha affascinato l’immagine di questa giovane donna, che sorride all’artista e a noi tutti, per nulla intimorita dalla presenza “ingombrante “di Bella.
Vava non ha la pretesa di sostituirsi a Bella; Vava è differente da lei ma è pur sempre l’amore, in una forma unica e preziosa.
Per Marc, una nuova occasione per amare. Una magnifica seconda volta.