
Un reportage frutto di giorni di appostamento, interviste e studi…
Ogni mattina all’alba ti rechi sulla battigia della spiaggia libera di Levante e aspetti che il sole faccia capolino all’orizzonte, mentre il cielo si tinge di rosa. Saluti e ringrazi la stella che rende possibile la vita sulla Terra, facendola esplodere di colori, sapori, odori e amori.
Un attimo prima passi a visitare i germani reali e le anatre mute, che elegantemente incedono nella spumeggiante acqua marina o zampettano goffamente sulla sabbia inerbata. Ti avvicini a loro, non si agitano, non hanno paura, non fuggono. Ti riconoscono, ormai sei diventato uno di famiglia. Scodinzolano, quando sentono la tua voce e vedono la tua inconfondibile andatura.
Smettono momentaneamente di affondare il largo becco nell’acqua alla ricerca di cibo, di mordicchiare erba, di strappare dai loro corpi ciuffi di piumaggio, che la brezza di terra fa volteggiare prima di appenderli come soffici banderuole alle cime di alte erbe spontanee Vi guardate negli occhi e sorridete.
Diventano intraprendenti, ti vengono incontro, si avvicinano ulteriormente, si fanno quasi accarezzare. Un giorno, prendono ulteriormente coraggio, chiedendoti coll’esperanto del corpo di raccontare la loro storia, un regalo graditissimo per te, perché, mettendoti nei panni di altre forme di vita, puoi comprendere meglio le ragioni profonde dell’esistenza e il suo senso misterioso.
Nulla, però, all’inizio dell’amabile dialogo informale, lascia immaginare l’epilogo, l’incubo che sovrasta. Imminente. È questione di mesi, di settimane, di giorni, all’improvviso esploderà in tutta la sua recrudescenza e tragicità, lasciando tramortiti. Esterrefatti!
E pensare che comincia a frullare nella tua mente un personale progetto di ripopolamento. Ti informi da Angelo, allevatore di colombi viaggiatori dove è possibile acquistare tre germani reali femmine, un’anatra muta maschio e un’altra coppia. Perché siano in compagnia e si moltiplichino. Una spesa irrisoria, meno di un centinaio di euro, beneficata da una ricaduta ecologica incommensurabile.
Incipit. Una quindicina di anni fa, in quel rannicchiato angolo del porto di Barletta a due passi dalla Lega Navale, natanti da diporto aspettano di essere varati per solcare liberamente il mare lasciando dietro di sé una scia di schiuma. Lucciole danzano tremule sulle acque perennemente ondeggianti, ammaliando con il loro scintillio. Impalpabili sabbie dell’Ofanto di Orazio s’imbellettano di smaglianti fiori ed erbe. Vongole veraci si rintanano, affondando nella sabbia, sotto pietre e ciottoli. Lattughe di mare, abbandonati i fondali, esplorata la battigia, si lasciano baciare dall’ardente sole. Corrosi tronchi di salici e pioppi mirano, incantati, il sole che sorge e tramonta, la luna che si inarca e le stelle baluginanti. Pesci guizzano tra le onde e gabbiani urlanti sfrecciano nell’aria.
Nel pallido cielo celeste d’autunno un folto stormo di germani reali, specchio alare bianco, volteggia leggiadramente nell’aria ottobrina. Un plotone di maschi e femmine, lanciando un’occhiata verso il basso, adocchia con interesse l’oasi alimentata da un perenne rigagnolo di acqua dolce.
Un repentino scambio di occhiate, emozioni e sentimenti, decisione fulminea. All’unisono, distaccandosi dal gruppo, che continua a rincorrersi per i cieli, i mari e le terre ferme, in picchiata scendono di quota. Sorvolano con curiosità, quasi rasentandola, la zona che li affascina. Ammarano, infine, facendo schizzare tutt’intorno fiotti di acqua marina, merlati di bianca schiuma, mentre le onde di risacca, instancabili si infrangono sonoramente sulla battigia.
Sono padroni dell’aria, ma anche del mare, dove nuotano disinvoltamente. Zampettano con i piedi palmati, affondando leggermente. Setacciano con il largo becco l’umida sabbia, e di tanto in tanto, guardandosi negli occhietti, emettono versi di approvazione e compiacimento.
Nell’aria aleggia un’atmosfera di soave serenità, intima e morbida, che li ammalia. Un trabucco, fatiscente, agli sgoccioli della vita, protende le sue consunte travi di legno, evocando i giorni fausti quando reti traboccanti offrivano sardine e acciughe a famigliole che passeggiavano la domenica sera nell’immediato dopoguerra in riva al mare.
Lungo il dissestato molo, canne da pesca di pazienti pescatori silenti attendono con gli ami occultati dalle esche che mormore, spigole, orate, triglie, aguglie incautamente abbocchino, mentre lunghi bastoni infilzati all’estremità da zampe di gallina o pezzi di seppia rovistano tra gli scogli alla ricerca di polpi, da sbattere ripetutamente sul calcareo selciato per intenerirne le carni. Canoe aerodinamiche scivolano veloci e silenziose sullo specchio del porto, per la forza propulsiva impressa da energici giovani corpi. Intraprendenti ragazzi ed attempati signori, incuranti della temperatura dell’acqua, continuano ancora a tuffarsi dalla banchina e a godersi placidamente le giornate del tenue sole autunnale.
Di fronte ai volatili si dipana, lo specchio del mare racchiuso dalle infrastrutture del porto e dal molo di levante in completo degrado che andrebbe restituito dignitosamente ai legittimi proprietari, i cittadini. Alle spalle, un muro perimetrale di conci calcarei, oltre il quale scorre una strada che porta verso il centro della città. Luogo confortevole e sicuro.
Il cibo, abbondante, scarseggia solo in alcune giornate invernali, e la provvidenza con la sua prodigalità inaspettatamente bussa all’uscio. Amanti di volatili consentono ai loro amici pennuti di superare il difficile momento emergenziale, svuotando cartocci di granaglie comprendenti mais, orzo, soia, grano, semi di girasole.
I germani reali avevano vagliato un ventaglio di siti durante l’indefesso girovagare da una contrada all’altra, ma questo è certamente il più accattivante. La loro lungimirante intuizione verrà confermata dal successo riproduttivo e dallo stato di benessere psicofisico che si troveranno a vivere.
Nella nuova nicchia ecologica, si aprono subito le danze del corteggiamento che durano alcune mesi. Sono i maschi con la loro livrea appariscente a farsi avanti. Ognuno di loro solleva la punta delle ali, la testa e la coda. Fischia e spruzza l’acqua verso la femmina desiderata. Una volta conquistato il suo cuore, le rimane vicino per evitare che si accoppi con altri pretendenti.
Intanto, altri anatidi fanno la loro comparsa: anatre muschiate, molto diffuse nell’America centrale e meridionale, soprattutto in Messico. Non sono selvatiche, essendo giunte in Europa nella forma addomesticata. Sono, quindi evase da luoghi di allevamento, o privati proprietari se ne sono disfatti.
Gabbiani e colombi storcono il becco per l’arrivo di concorrenti. Altre bocche che vogliono sfamarsi, ma accantonano la brutta cera, perché c’è cibo per tutti. Nessuno di loro, poi, deve avidamente accumulare riserve come fanno i bipedi con gli arti anteriori pendenti.
Anziani vongolari, piegati per ore in due, con le mani immerse in una fanghiglia brunastra on esprimono una piega di disappunto. Cappello con visiera in testa, pantaloni corti e stivali alti. Vicino a loro galleggia un secchio di plastica nel quale depongono le grosse vongole che assieme all’aglio e al prezzemolo fanno impazzire di sapore gli spaghetti e fibrillare narici e papille fameliche.
Testoline paffute di bambini, in carrozzino o in braccio alle mamme, guizzano, appena scorgono gli anatidi, mentre i loro occhi brillano e la bocca si spalanca per l’emozione. Genitori e nonni a stento riescono a trattenere i pargoletti più grandi che si precipitano a rotta di collo verso le creature marine appena avvistate.
Comincia, col passa parola, il pellegrinaggio verso la minuscola oasi faunistica. Gente di ogni età e condizione sociale prende d’assalto la spontanea postazione faunistica. Anatidi non erano mai stati notati a memoria di uomo nei dintorni.
I birdwatcher, rispolverando cannocchiali e macchine fotografiche, si acquattano dietro uno scoglio, un albero, una siepe per vivere sensazioni uniche e cogliere immagini espressive. Le alzatacce mattutine e lunghe attese vengono prodigamente ripagate.
Scolaresche scortate da docenti amanti della conoscenza del territorio ed attenti al valore della biodiversità esigono di vivere un’esperienza coinvolgente. Finalmente possono volgere le spalle alle asfittiche ed ammuffite aule scolastiche, dove passa la voglia di sapere ed il corpo subisce per ore interminabili costrizioni e violenze inaudite.
Fioccano le domande, mani che si alzano, visi accaldati. Un brain storming in piena regola che vorticosamente coinvolge tutti gli alunni a partecipare. I docenti di scienze, con la collaborazione di volontari della LIPU, umilmente colmano le lacune di chi vuole avvicinarsi alla conoscenza della vita reale, al mondo di esseri viventi che condividono con l’uomo la vita sul pianeta azzurro, unico del suo genere nell’Universo intero.
I germani reali appartengono alla famiglia degli Anatidi. Sono cosmopoliti per la loro facile adattabilità ad ogni ventaglio di habitat e regime alimentare. Da loro discende la maggior parte delle razze domestiche. Esistono, in verità, anche varietà che derivano dall’anatra muta. I maschi sono facilmente riconoscibili: il capo e la parte superiore del collo, verde iridescente; uno stretto collare bianco, a metà del collo; petto, dorso, bruno-porporino, addome grigio.
Le femmine, identiche per forma, sono macchiate di bruno e marrone scuro. Le piume mimetizzanti permettono loro di passare inosservate in mezzo alla vegetazione dove depongono le uova, un centinaio all’anno, covandone circa una dozzina.
Tra il molo di levante e la Lega navale, infatti, ai margini di poderi coltivati, di una striscia di erbe secche, di sporadici ciuffi di graminacee, che confinano con la battigia disseminata di conchiglie, si elevano, perennemente agitate dal vento, piccole ma rigogliose macchie di canne comuni, ombreggiate da palme, washingtonia, che nascondono da sguardi indiscreti le grosse uova appena deposte.
L’entusiasmo dei docenti e dei birdwatcher, congiunta all’esperienza insolita, contagia gli alunni che scoprono una nuova didattica ed un’affascinante cultura. “I germani maschi non aiutano le femmine nell’incubazione per la loro eccentrica livrea. Sarebbe pericoloso.” Nonostante le precauzioni, gli occhi rapaci di uomini, gatti e topi, sempre all’erta, più volte saccheggiano il ghiotto boccone.
Dopo la schiusa, la femmina si occupa della cura e della tutela degli anatroccoli, ricoperti di piumino. Li conduce subito al vicino zigzagante rigagnolo d’acqua che emerge a livello del mare, fresco e zampillante. Un minuscolo corso d’acqua generato da precipitazioni atmosferiche cadute sulle Murge, percolate nel sottosuolo; acque che raggiungono il livello del mare dopo aver percorso molti chilometri nelle viscere della terra calcarea su un fondo argilloso.
“I maschi emettono un calmo yeeb, e le femmine un rumoroso qua, qua, qua. Si muovono in acqua con grande agilità e compostezza, in fila indiana. Ingeriscono molluschi, mosche, libellule, crostacei e vermi, filtrando l’acqua e il fango attraverso lamelle presenti all’interno del becco. Durante l’autunno e l’inverno integrano la misera dieta, brucando graminacee spontanee.
Anche l’anatra muta o muschiata appartiene alla famiglia degli anatidi. Per indole, a differenza dell’oca, è mite e pacata, estremamente docile e domestica. Per chi non ha ancora maturato una visione vegetariana, attenta alla salute, all’ecologia ed alla coscienza, la sua carne risulta pregiata, meno grassa di quella dell’anatra comune.
Gli anatidi possiedono uno sviluppato uropigio, prominente ghiandola adiposa, che si trova sopra la coda. Gli animali ne spandono il liquido oleoso con il becco sulle proprie penne, per impermeabilizzarle. L’acqua è la loro vita, non a caso le zampe sono arretrate rispetto al baricentro del corpo, per consentirle di scivolare agevolmente.
I maschi e le femmine si differenziano notevolmente per le dimensioni. I primi pesano tra i cinque e i sei chili, mentre le altre, più piccole, raggiungono tre chili. La femmina è afona, non emette alcun tipo di suono, ma è molto chiassosa. Il maschio produce sibili, persino acuti ed esplosivi, ma è meno rumoroso. Sia il maschio che la femmina volano molto bene vicino al suolo e planano sul terreno oppure sull’acqua. Il maschio, dato il peso maggiore, vola più in basso per la consistente mole. Ambedue sono ottime nuotatrici.
L’anatra muta maschio presenta, intorno all’occhio e sulle guance, delle caruncole, escrescenze carnose rossastre in forma di papille. Il ciuffo, dritto e appuntito, è più pronunciato nei maschi. Si nutre di vegetali di ogni tipo, ma la sua dieta comprende anche piccoli insetti, molluschi e vermi. Essa depone circa 100 uova all’anno, guscio giallo-verdognolo, peso medio, 70-90 grammi, più grandi e sostanziose di quelle delle galline e delle oche.
Alla nascita i pulcini di anatra muta, ricoperti di piumino, sono molto vivaci e seguono subito la madre al pascolo e in acqua, imparando in fretta ad alimentarsi per conto proprio. Hanno una gran voglia di diventare autonomi, di corteggiare o lasciarsi sedurre.”
Quindici anni in quel minuscolo angolo di mondo, lungo arco temporale. Le coppie iniziali di germani reali e di anatre mute da tempo non esistono più, perché gli anatidi non riescono a vivere più di dieci anni. I loro geni, però, sono presenti nei loro discendenti, ed anche i loro insegnamenti.
In alcuni momenti si manifesta una certa ressa nell’angusta area. Gli adulti partecipano al rito dell’amore, si accoppiano e generano nuove creature bisognose di cura e protezione. Nuove generazioni occupano il posto di quelle precedenti, la ruota incessante della vita. Alcuni scompaiono per fragilità costituzionale, i più però subiscono la sopraffazione, legge della vita che non dà scampo.
Cittadini attivi si rivolgono alle autorità per tutelare l’oasi faunistica nata per caso dal nulla. Orecchie da mercanti raccolgono le loro suppliche. Alcuni di loro, gente umile, un netturbino e un lavoratore precario, si attivano nel realizzare una tettoia ricoperta di erba per garantire vita confortevole agli amici volatili.
Intanto, aumenta il numero dei bambini che trascinano i loro genitori e nonni nel luogo che per loro è il più bello del mondo. Dalle tasche estraggono mollichine di pane, conservate in tasca durante il pranzo, e le lanciano con gioia. Adulti depositano panini. Gesto encomiabile, ma dannoso per gli anatidi a cui non vanno forniti carboidrati. I più consapevoli versano granaglie, su cui si avventano gli agguerriti colombi e gabbiani.
Nell’ultimo periodo, il nutrito numero di germani reali ed anatre mute si assottiglia notevolmente. Nell’aria aleggia un’atmosfera di melanconia, ma la vita continua, nonostante i ridotti numeri. Ora i germani reali sono solo tre, tutti con la testa verde. Sono amareggiati, non avendo nessuna femmina da corteggiare. Le anatre mute appena quattro, tre pulcini e la loro mamma che i piccoli non abbandonano neanche per un istante.
Nei giorni scorsi, tempesta a ciel sereno. Scompare un pulcino, quello che sembrava più intraprendente e vispo. Rimani sgomento! Cominci la giornata proprio con il piede sinistro. Speri in cuor tuo di rivederlo l’indomani mattina, ma devi rassegnarti alla dura realtà.
Passano due giorni, sparisce anche la mamma. Ti mordi le labbra. Una tempesta di domante e riflessioni turbina nella tua mente. Ti chiedi soprattutto chi può accanirsi contro innocue creature che vogliono semplicemente vivere. Così, rimangono soli due pulcini. I piccoli sono sbandati, vanno avanti, ritornano sui loro passi. Col becco portano convulsivamente alla bocca tutto ciò che capita.
Il sole sorge e tramonta un’altra volta, scompaiono anche i superstiti. Tragedia totale. Nell’aria aleggia un’atmosfera pesante, che non lascia nessuno indifferente. Esiste tra tutti gli esseri, viventi e “abiotici”, un’energia che li lega e li fa partecipare ai fremiti del dolore e della gioia universale. Anche il sole sembra che partecipi al dramma. Non sfolgora con i suoi infuocati colori, rosso vivo, arancione e giallo. Svogliatamente filtra attraverso una striscia di nuvole cupe all’orizzonte. I colombi ed i gabbiani sono più irritabili ed impertinenti del solito. La brezza di terra, più fredda del solito ti costringe a indossare la tuta. La luna, calante, brumosa e tremula.
Personalmente, fatichi a prestare attenzione al flusso della respirazione durante le posture dello yoga. I muscoli ed i tendini si allungano con sofferenza. Avverti un senso di pesantezza, non riesci a concentrarti nel mondo interiore.
Passata una settimana, ti avvicini con passo compunto ai germani reali, frastornati da quello hanno visto e sofferto. Chiedi loro, come il Pascoli rivolgendosi alla cavalla storna, chi siano i responsabili dello scempio. Rimangono muti quando fai riferimento a gatti, topi, falchi e volpi. Schiamazzano affannosamente, rumano, quando per ultimo proponi: “Uomini, forse?”
Gente che non ama la propria terra, non rispetta sé stessa, non coltiva il culto della bellezza, non si apre all’amore verso tutte le creature viventi. A loro va tutta la commiserazione delle persone che si profondono quotidianamente in un percorso di crescita e di valorizzazione personale, perché “non sanno quel che fanno”.
Prossimamente spariranno anche i tre germani reali? L’ultima grigliata?
Grazie Domenido D’Alba, per questo prezioso articolo. Grazie per la tua sensibilità, che ti ha permesso di farti portavoce delle grida della Madre Terra e delle sue creature pennute. Grazie per il tuo prezioso lavoro di documentarista ambientale….e alla poesia delle immagini in esso evocate. Hai saputo coniugare sensibilità e bellezza e amore per l’ambiente che ci ospita.
Articolo molto bello che documenta con estrema lucidità e chiarezza il modo in cui, nell’era del profitto dominante, il rapporto tra l’uomo e la natura si sia impoverito e in alcuni casi del tutto spento. Una speranza c’è ancora e risiede nello sguardo di chi è in grado di osservare con discrezione l’idillio di un angolo di vita autosufficiente, senza dominarlo ma entrando a farne parte. Questo articolo, prima ancora della critica disincantata e della delusione, trasmette proprio questo, attraverso le sue vivide suggestioni: un’autentica espressione d’amore per la natura.
Bellissimo articolo!
Caro Domenico, i tuoi scritti sono Poesia pura.
Peccato per la scomparsa di questi simpatici ospiti del nostro litorale, che descrivi con dovizia di particolari. Io li ho visti non molto tempo fa con tutta la prole, esattamente il 29 maggio.
Spero ritornino e che non abbiano fatto una triste fine.
Una preziosa e fruttuosa ricerca. Una bella ed edificante realtà, che molto contrasta con il suo ampio e diffuso contrario, la devastazione ambientale, frutto di una ricerca del benessere, che si traduce in un reale e tangibile malessere. È doveroso, da parte dell’Amministrazione locale, proteggere queste zone, fonti di benessere.
Questa breve storia faunistica di Dalba è piena di nostalgia per un mondo incontaminato. Ci spinge ad amare ogni essere vivente che abita il nostro pianeta con un nuovo sguardo che rifiuta qualsiasi forma di mercificazione della natura e dell’Essere. Una grande lezione di umanità per un’altra idea di mondo. Grazie!
Antonio Grieco
La natura da sempre ci regala spettacoli belli ed emozionanti, ma la natura è anche quello che c’è dentro di noi e tu Domenico lo esprimi con magnificenza e poesia. Complimenti!
Sono stupendi saggi di vita a cui ogni tanto dovremmo fermarci a riflettere. Stupendo, da leggere e rileggere spesso e senza pause.
Grazie Domenico, per la lucida ma allo stesso tempo, poetica, descrizione di una realtà faunistica da tutelare. Le coste meridionali d’Italia non mancano certo di tali bellezze, anzi, dalla Sicilia al versante meridionale dell’Adriatico passando per le coste calabre, i litorali marini mostrano molteplici esempi di rigogliosa fauna; non per questo l’oasi del litorale di Barletta va dimenticata. Troppo spesso la cultura catto-consumistica associa il mare ed i litorali sabbiosi al divertimento sfrenato nei lidi, alle grandi abbuffate, alle mega grigliate con melonata finale, alle “quadriglie” aggrega famiglie; poco importa se questo “sfruttamento” barbaro di un dono di Dio, porterà poco per volta all’estinzione di tante specie marine ed alla “distruzione” dei litorali della nostra amata terra: ma basta che se magna! La notizia dell’ennesima ricomparsa dell’alga tossica sulle coste pugliesi non meraviglia più. Persino i tedeschi super-precisi sono incappati nelle infauste conseguenze del cambiamento climatico associato allo sfruttamento indiscriminato del territorio. Si tratta dell’autodistruzione (di cui ti parlavo nel messaggio di whatsapp ) alla quale andrà presto incontro il modello consumistico occidentale (e non solo occidentale). In questi giorni mi trovo in crociera con mia moglie. A bordo di una grande nave ritrovi i medesimi comportamenti selvaggi e tribali che si osservano tutte le estati sui litorali italiani. Proporrei, dunque, (e non provocatoriamente) di potenziare le flotte di navi civili e contemporaneamente di calmierare i prezzi delle crociere; in questo modo daremmo la possibilità alle grandi famiglie dei “baby boomers” di sfogare ogni istinto primordiale che li convinca sempre più della loro immortalità, all’interno di un “recinto” controllato e distante dalle coste (feste e festini, grigliate infinite, cori da stadio e balli sfrenati in punto distante in mezzo al mare) . In tal modo le tante oasi faunistiche potrebbero “respirare” e sarebbero nuovamente meta delle sole specie faunistiche e dei veri amanti della natura e non di una sorta d’involuzione abbrutita della specie umana. 🙂