Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così, io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri”

(Alessandro Baricco)

Inciampata in uno scritto di Baricco ho sentito l’urgenza di cristallizzare un pensiero fattosi fluido, senza mai straripare.

Ciò che speriamo è parte integrante del nostro lato cosciente; la speranza è intellegibile, possiamo riconoscerla, percepire che la nutriamo.

Ciò che desideriamo, al contrario, sfugge al controllo della ragione, alcuni direbbero che il suo primo alito di vita ha sede nel cuore; Schopenhauer ricordava che il desiderio non può essere spento da azione umana, non può rispondere ad un atto di pura volontà contraria.

Ed ecco spiegato perché il desiderio sfugge di mano, diventa evanescente, spesso delude e giunge ad un risultato: smettere di essere provato.

Speriamo di poter arrivare ad una qualche meta, siamo lucidi, vediamo bene le strade sbarrate e da le evitiamo per non perdere tempo, senza accorgerci che è esattamente quello che facciamo: buttare via tempo prezioso. Perché mentre ‘speriamo’ di raggiungere quella qualche meta, dimentichiamo di ‘desiderare’ che lo sbarramento di quelle strade venga meno.

Accade perché quel tempo è prezioso? Forse perché non si può comprare o moltiplicare? Pare di no. È qui l’illuminazione di Baricco:

Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così, io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No.

Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. È lì che salta tutto, non c’è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatto tanto di quel male che tu non te lo puoi nemmeno immaginare.”

E dunque io mi domando se esista una valida ragione per arrivare a farsi tanto male da non poterlo nemmeno immaginare. Averci pensato per tempo, forse, desiderare in tempo, probabilmente, avrebbe migliorato una tale sorte?

E soprattutto: la rete, che è davvero così tanto ingarbugliata, superato il limite di tempo “giusto”, può surclassare un sonoro “desidero”? È necessario sospettare di sì, sebbene la domanda resti aperta… non possiedo effettivamente risposta, mentre penso ai maestri che parlano di carità vissuta nelle fede pura, nella condotta immacolata della morale irreprensibile.

Avverto così una sola esigenza: sedermi davanti a coloro che sono accomodati sulla Hokma (la Sapienza ebraica) per lasciare che mi spieghino ogni singolo punto del loro pensiero, scevro però da opinioni.

Il rigore della logica che, ahimè, non possiedo: sono pronta ed aperta all’ascolto, ho ancora troppo da imparare, perché io, fondamentalmente, studio e troppo spesso, “i torni non mi contano”.

«Dobbiamo perdonare, non c’è nulla di più rivoluzionario nel messaggio evangelico di questo imperativo (…). Se hai fiducia e concedi credito, ricevendo torto, tocca perdonare con il cuore. Ma se non arrivano scuse o se non c’è impegno nel recupero, allora è evangelico “scuotere la polvere dai calzari” e non averci più niente a che fare» (Santa Teresa d’Avila).

Da Domodossola, per ora, è tutto. A voi studio.

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FontePhoto credits: Myriam Acca Massarelli
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.

2 COMMENTI

  1. In alcuni casi il viaggio vale più della meta. In altri sono alla pari. La meraviglia? Continuare a viaggiare insieme alla meta! Complimenti! Grazia Lops

  2. È che il viaggio vela e si svela continuamente, ma se la meta non fosse importante, si rischierebbe di non partire. Un fatto di complementarietà.
    A lei, Grazia, il mio grazie.

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