Ferdinando Capaccio, detto “O’ Crezi“, è senza dubbio uno dei criminali più controversi di Gomorra 4 – La serie, sul podio delle più viste al mondo, con “Game of Thrones“ e “House of Cards“, fenomeno cult della cinematografia italiana, prodotto esportato all’estero con l’orgoglio di chi ha portato, sul piccolo e grande schermo, spaccati di verismo verghiano applicato all’attualità.

Genny, Patrizia, Azzurra, Valerio, Elia e, appunto, Ferdinando, affascinante postilla di un contratto stipulato col Diavolo, schizofrenia che genera il Male, violento e barbarico assassino dello “Stregone“, nel finale della terza stagione, paradigmatico ritratto da godere in termini di eccellenza recitativa, ma sicuramente da non emulare. Dietro le quinte degli episodi 5 e 6, diretti da Marco D’Amore (l’ex Ciro), e tra le pagine di un accattivante e mortifero copione, ci sono la disponibilità e la simpatia di Carlo Caracciolo, pregevole interprete di un’escalation comportamentale di cui ha voluto, con somma fierezza dell’intervistatore, parlare in esclusiva ai lettori di Odysseo:

Ciao Carlo. Il personaggio di Ferdinando Capaccio, detto “O’ Crezi”, fa da trade union fra le stagioni 3 e 4 di Gomorra- La serie. A differenza di altri, il tuo ruolo sembra affondare le radici in una instabilità psicologica di fondo, in un istinto irrazionale che alimenta l’azione criminale. Quanta esasperazione c’è dietro la caratterizzazione di un boss dall’eloquentissimo nomen omen?
La passionalità di Ferdinando è guidata sempre da una rabbia giustificata, questo sentimento perenne lo porta a provare gusto in ogni sua azione criminale, quasi accecato dal piacere finale nel vedere i suoi nemici sconfitti, porta avanti le guerre agendo ancora prima di pensare, tutto questo genera la sua “pazzia” di cui lui va profondamente fiero.

 

Con “O’ Diplomato”, tuo fratello nella fiction, formi una coppia di nuovi “capi” emergenti nella malavita napoletana. Credi che il vero problema della Camorra risieda proprio nella voglia di potere che muove ogni scugnizzo? Questo può generare, secondo te, lotte fratricide a scapito di innocenti?
Ci tengo a dire che il lavoro di squadra e l’affiatamento nella ricerca e la costruzione dei caratteri e del legame tra me e “mio fratello” Elia (l’attore Andrea di Maria), sul set, ci ha aiutato e divertito allo stesso tempo. Il potere è la tentazione primordiale di ogni uomo, la storia ce lo insegna, ma molto spesso ad affascinare i ragazzi, gli scugnizzi , è più una voglia di affermazione sociale, una visione distorta della dignità umana che in questi contesti viene comunicata con la sfida alle autorità e allo Stato, successivamente si innesca anche la sete di potere.

Non temi che in serie televisive come Gomorra la rappresentazione di Napoli non sia del tutto corrispondente alla realtà e che lo spettatore possa, in questo modo, farsi una cattiva idea di una Città che resta, comunque, bellissima?
Gomorra ha smesso di romanzare il male, portando alla luce una crudissima realtà che non tutti hanno digerito, ma che esiste e va affrontata, detto ciò pensare che Napoli sia solo oscura è sbagliato, è un cuore che pulsa, spesso accelera, altre rallenta, ma resiste.

A tuo parere, un attore incontra più difficoltà nell’interpretazione di un personaggio buono o cattivo?
Un attore non dovrebbe avere difficoltà ad interpretare un buono o un cattivo, un attore è in difficoltà quando non interpreta nessuno.

Progetti futuri?
A questa domanda vorrei rispondere sempre:  “Sì, un film da premio Oscar”.La verità è che nel mio futuro ci sono progetti concreti e sogni da plasmare ed è questo il bello del domani.


Articolo precedenteCHI HA TEMPO, NON ASPETTI TEMPO
Articolo successivoViaggio nella comunità buddista andriese
Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.