Il messaggio dei vescovi laziali contro ogni forma, più o meno strisciante, di razzismo

Dopo le recenti tensioni sociali e i ripetuti episodi, accaduti a Roma Capitale, di intolleranza e razzismo i vescovi delle diocesi della Regione Lazio sono davvero preoccupati della situazione relazionale, poco fraterna e umana raggiunta nella Capitale e nell’intero territorio regionale, tanto da mettere nero su bianco in un messaggio consegnato domenica 9 giugno 2019 in tutte le parrocchie della Regione in occasione della festa di Pentecoste.

«Ogni povero è figlio di Dio». Nessuna distinzione in base all’appartenenza nazionale o all’etnia, perché «in tutte queste dimensioni di sofferenza non c’è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un ‘prima’ o di un ‘dopo’ sulla base dell’appartenenza nazionale».

Il messaggio è un annuncio chiarissimo, a fianco di tutti i poveri ai quali «va l’attenzione del cuore dei credenti e dell’opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali». E questo perché, denunciano i Vescovi, «…da certe affermazioni che appaiono essere ‘di moda’ potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero – si sottolinea nel messaggio– è come noi, è un altro ‘noi’: l’altro è un dono». Un intervento non politico, né tanto meno partitico.

I Vescovi laziali invitano a proseguire il cammino di comunità credenti, sia con la preghiera sia con il servizio nella testimonianza di una virtù che ha sempre caratterizzato il nostro Bel Paese: l’accoglienza verso l’altro.

Il messaggio tocca il delicato tema della sicurezza, invitando a riconoscere «che il male che attenta alla nostra sicurezza proviene di fatto da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere». Un evidente risposta a chi vede nei migranti i responsabili dell’insicurezza. Ma serve anche che «tutte le nostre comunità possano promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e – soprattutto – originati dalla Parola evangelica».

Pur non citandolo il messaggio fa un evidente riferimento al Decreto sicurezza, lanciando un preciso allarme. «Desideriamo ricordare che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell’aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale».

Di fronte a questa situazione i Vescovi del Lazio rivolgono, infine, «un appello accorato affinché nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto, ma si affermi una cultura ‘nuova’ fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà».

Una opposizione piuttosto forte e decisa da parte di tutte le Diocesi della Regione Lazio, contro quella parte della chiesa poco cristiana e ultra tradizionalista, fatta di pizzi e merletti, che spaccia rosari e bacia vangeli. Un ritorno di fiamma “clericofascista” che parte da lontano con l’intento come dice il Card. Gualtiero Bassetti di “creare delle religioni nazionali, facendo del cristianesimo e nello specifico del cattolicesimo italiano una religione civile, che sacralizza i poteri civili”. Al momento da parte della comunità ecclesiale non bastano più le critiche, i commenti, le opinioni e i giudizi isolati e occasionali di fronte a queste linee politiche di odio e perversione morale, che da qualche anno speditamente avanzano, annientando ogni diritto e difesa della persona più debole, vulnerabile e indifesa. È evidente che la tutta la Chiesa stia vivendo uno spaesamento con la linea pastorale universale di Papa Francesco, ma è necessario un cambio di rotta per prendere consapevolezza del proprio ritardo sui cambiamenti epocali che rapidamente ruzzolano all’interno delle società, e trovare delle serie e profetiche soluzioni, per continuare a rappresentare attraverso la fede la salvezza dell’umanità. Al contrario del passato l’intera comunità ecclesiale deve smarcarsi dai giochi politici e di potere e rinforzare i credenti con l’opera pastorale e evangelizzatrice della Parola, con le opere di Carità e l’insegnamento del magistero della dottrina, con approfondimenti e tecniche, che contraddicono le idee fondamentaliste e xenofobe e indicare sempre e solo la via del Maestro. Se così fosse la Chiesa farebbe ciò che ogni padre e madre farebbero per i propri figli, e cioè favorire percorsi spirituali umani per combattere la secolarizzazione e la religiosità cultuale per una fede inclusiva e di dialogo.

Cicerone nel De Oratore, ci dice che: La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, maestra di vita”, e i cristiani questo lo sanno perfettamente, perché Cristo è un evento, che con il suo messaggio carico d’amore ha fatto tremare i polsi ai potenti della terra, gettando un fascio di luce e di salvezza per una nuova storia dell’umanità.


Fonte

"razzismo ad escludendum"by italo dei silenzi is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

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So che tutto ha un senso. Nulla succede per caso. Tutto è dono. L'umanità è meravigliosa ne sono profondamente innamorato. Ciò che mi spaventa e mi scandalizza, non è la debolezza umana, i suoi limiti o i suoi peccati, ma la disumanità. Quando l'essere umano diventa disumano non è capace di provare pietà, compassione, condivisione, solidarietà.... diventa indifferente e l'indifferenza è un mostro che annienta tutto e tutti. Sono solo un uomo preso tra gli uomini, un sacerdote. Cerco di vivere per ridare dignità e giustizia a me stesso e ai miei fratelli, non importa quale sia il colore della loro pelle, la loro fede, la loro cultura. Credo fortemente che non si dia pace senza giustizia, ma anche che non c'è verità se non nell'amore: ed è questa la mia speranza.