«Mi piace pensare che nessuno di quei beceri tifosi conosca davvero Anne Frank, voglio pensare che nessuno di loro abbia mai letto il suo diario, le sue esperienze, il suo dolore…»

Quando Walter Veltroni ha presentato il suo film-documentario “Indizi di Felicità”, ci ha raccontato storie di vita di tutti quelli che, per la vita, hanno lottato, di coloro che hanno assaporato attimi di speranza raccattando indizi che provassero la sofferenza umana come catartica liberazione dall’opulenta oppressione psico-fisica.

Mi piace pensare che nessuno di quei beceri tifosi conosca davvero Anne Frank, voglio pensare che nessuno di loro abbia mai letto il suo diario, le sue esperienze, il suo dolore. Preferisco etichettare l’increscioso episodio dello Stadio Olimpico come goliardica bravata di esseri decerebrati. Potrei farlo, ma proprio non ce la faccio. Non ce la faccio ad ignorare la mancanza di rispetto, l’estremo negazionismo di chi ignora il passato minando gli equilibri umani futuri. I giovani hanno il diritto di sapere e il dovere di schierarsi contro le idiozie politiche, contro le ingiustizie sottaciute e le inutili giustificazioni.

Intervistato da Veltroni, Sami Modiano, uno dei 25 bambini sopravvissuto nel 1945 ad Auschwitz, ha riportato alla memoria il ricordo di quei giorni a Birkenau. Le parole lasciano il posto a lacrime di rabbia e disperazione:

«Vai a riposarti, domani sarà una dura giornata di lavoro. Me lo ripeteva, ogni sera, mio padre. Ma io non potevo riposare al pensiero che mia sorella Lucia fosse dall’altra parte del filo spinato. Una sera, non riuscendo a dormire, decisi di avvicinarmi a quella rete, sapevo che la finestra fosse quella. Improvvisamente una mano mi salutò, la ragazza che ci si affacciò non poteva essere Lucia. L’avevo vista il mese prima, aveva capelli lunghi e fianchi corpulenti. Alla finestra, adesso, c’era il corpicino di una donna indifesa, dal capo rasato e gli zigomi ossei. Non la riconobbi, non me lo perdonerò mai. Le mando un abbraccio ideale ed una fetta di pane avvolta in un panno bagnato. Lucia lo raccoglie, rientra e, poco dopo, mi rispedisce indietro il panno, lo apro e ci trovo all’interno due fette di pane, la mia e la sua. Ho cercato invano di persuadere mio padre ad accompagnarmi nelle spedizioni notturne. Non comprendevo il suo rifiuto ma quando seppe che sua figlia non c’era più, si lasciò andare. Una sera, e non l’aveva mai fatto, mi disse: “Resta un po’ con me”. Sorpreso dalla sua insolita richiesta, rimasi senza proferire verbo, ammutolito dal suo sguardo. Il silenzio venne rotto dalla sua voce tremante: “Domattina non venire più a cercarmi, sarò in infermeria, lì si prenderanno cura di me. Tu devi resistere, devi tenere duro”. Chiaramente, non l’ho più rivisto. Oggi, quando guardo il numero di prigionia tatuato sul mio braccio, rammento quel consiglio che ho tenuto mio finora. Restare soli al mondo a quattordici anni non è facile, ve lo garantisco. Ai giovani chiedo di ascoltarmi, perché quando io non ci sarò più, ci saranno loro, e loro dovranno fare in modo che quell’orrore non si ripeta” (Tratto da Sky, Il viaggio più lungo: gli ebrei di Rodi)

Quando io non ci sarò più, ci saranno loro, e loro dovranno fare in modo che quell’orrore non si ripeta.