«La politica è stata definita la seconda più antica professione del mondo.

Certe volte trovo che assomigli molto alla prima»

(Ronald Reagan)

 

Sento costantemente nascere locuzioni di un certo spessore, infilate in discorsi sensati, ma ho imparato a non fidarmiperché ho capito che c’è un tassello, prima degli altri, da verificare: chi parla, conosce il significato di quanto sta dicendo? O possiede le categorie per arrivare a comprendere il suo significato andando almeno a senso?

Una di queste esperienze riguarda l’analfabetismo funzionale, qualcosa che ultimamente, almeno alle mie orecchie, viene sciorinato con una certa costanza: sembra essere un concetto afferrabile, eppure, ho scoperto che non è affatto così il giorno in cui qualcuno mi ha detto chiaramente di aver avuto bisogno di andare a studiarselo (e meno male!).

Dunque, niente, niente di quanto diciamo e ci viene detto può essere dato per scontato. Pesa più un kg di piume o un kg di pietre? Provate a fare in giro questa domanda e resterete stupiti da quante persone sorrideranno imbarazzate, perché che ci sia un trucco diventa subito inconsciamente chiaro. Il problema è la parte conscia: troppe volte vi risponderannoche pesa di più un kg di pietre, stentando qualche secondo anche a capire perché non possa essere così. E più sono giovani, più si incappa in questo quadretto. L’ho proprio sperimentato e potete credermi, non è l’estrazione sociale o culturale il problema, poiché ci ho provato davvero dappertutto.

L’immediatezza del pensiero corretto sembra defunta e in tempi di campagna elettorale, quando più che mai è sui giovani che bisogna puntare per avere una speranza, specie se è il 2022, quando le informazioni e le intenzioni vengono passate alla velocità della luce, in assenza di comprensione fulminea si rischia, per l’ennesima volta e in modalità decisamente peggiore, di arrivare allo stesso risultato: la scelta di Barabba.

Non è mica un caso se siamo, ogni santa volta, in un punto che appare di non ritorno che poi finisce per rivelarsi solo unpunto da cui si poteva, eccome, continuare a scendere. Ci sembra di aver toccato il fondo e poi scopriamo che abbiamo continuato inesorabilmente a scavare. Oh! Ma che sorpresa, come mai accade?

Beh, sarò impopolare, ma ci ricordiamo di certe dinamiche solo quando abbiamo una data sicura per l’espressione di un voto: fermiamo tutto. Qualsiasi impegno collaterale viene congelato con la frase di rito: adesso dobbiamo aspettare che finisca la campagna elettorale.

Sapete cosa penso? Che se in funzione di una campagna elettorale possiamo fermare (e lo facciamo!) troppe delle cose che stavamo facendo o avevamo in mente di fare, vuol dire che nessuna di quelle cose era abbastanza spessa da rivestire il carattere che ciascuna delle nostre cose dovrebbe avere nel nostro più banale quotidiano: carattere politico. Sempre.

E certo, perché ,chiusa la partita, torniamo a fare le nostre vite, possibilmente lamentandoci e iniziando con il ritornello tipo: non in mio nome, e cioè: io non l’ho votato. Vai a vedere di chi è la colpa… poiché sempre di quella si tratta, della colpa degli altri.

Una massa di analfabeti funzionali, tutti in una qualche misura, incluso chi sta scrivendo.

Da un lato l’ignorante che odia la politica, dall’altro coloro che fanno la politica e non so quanto si interroghino sulla necessità di coinvolgere, rappresentare e comprendere anche coloro che non ci credono: la Chiesa, per esempio, che è un altro sistema sul quale potremmo parlare sei mesi di fila senza interruzioni, deve includere o provare a includere ogni singolo scettico. La politica lo fa? O, forse, si accontenta di sommare più voti possibili fra coloro che il coraggio della matita ancora ce l’hanno, fieri del fatto che nel 2022, ahimè, si può davvero imbonire l’impossibile e chi se ne frega del resto? Ci serve una percentuale in più, mica la consapevolezza di chi fa, per esempio, astensionismo. Se su dieci elettori, sei se ne infischiano, ad alcuni uomini che mirano alle elezioni come al mongolino d’oro, cosa importa? Ciò che conta sono i numeri e dei quattro rimanenti, serve averne almeno tre. Punto.

Per la restante parte esiste la parola che risolve tutto, quando conviene: Amen!

Vi sto descrivendo la formula segreta dell’acqua calda, ne sono tristemente consapevole, poiché devo prendere atto del fatto che, nonostante la certezza di aver scritto cose “ovvie”, quelle stranamente continuano a ripetersi e, grazie a loro,continuo a leggere di nomi assurdi proposti per certe cariche e vedere che hanno un seguito terrorizzante.

Io non farò nessun nome di quelli che in questi giorni compongono un elenco telefonico ridondante e non mi lasceranno in pace indicativamente fino al 25 settembre “in prova” e, simbolicamente, dal 26 settembre “in ruolo”; non sprecherò una sola goccia di inchiostro per nessuna di quelle persone che, come di norma, bloccano tutto per le elezioni, fermo restando che la responsabilità non è loro, ma sta in tutto ciò che si lascia bloccare rivelando il proprio valore nullo.

I nomi che, invece, voglio fare oggi sono solo due, fra loro quasi contemporanei, firmando con questi le loro parole.

Il primo, Eugen Bertolt Brecht, aveva evidentemente ragione un tempo, quando diceva che il peggiore analfabeta è l’analfabeta politico (…) Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche. (…) Non sa l’imbecille che dalla sua ignoranza politicanasce la prostituta, il bambino abbandonato, l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi, che è il politico imbroglione, il mafioso corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Il secondo, che sempre Eugenio si chiama e che solo due anni prima di Brecht era nato, sembra aver guardato ad oggi, quando l’imbecille tutte quelle cose le sa bene e per un verso o per un altro ne è venuto a conoscenza.

Eugenio Montale aveva gli occhi apertissimi e possedeva una lungimiranza molto più che lodevole: il rapporto fra alfabetismo e l’analfabetismo è costante, ma al giorno d’oggi gli analfabeti sanno leggere.

E molti di loro non sono solo elettori: troppi di loro sono nel gruppo di coloro che stiamo andando ad eleggere. Se potete, non vi prego, ma vi esorto, riflettete con me. (Acca).


FonteFoto di Gerd Altmann da Pixabay
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.