«Oh!», diss’io, «padre, che voci son queste?». 
E com’io domandai, ecco la terza 
dicendo: ‘Amate da cui male aveste’»

(Purgatorio XIII, vv.34-36)

Canto tredicesimo del Purgatorio, siamo giunti nella seconda cornice, dove vengono proposti esempi di carità e si purificano coloro che in terra peccarono di invidia.

Dopo una fase iniziale, in cui Virgilio, incerto sul cammino da intraprendere, si rivolge al sole e decide di seguirne i raggi come sempre dovrebbe fare un uomo, i due poeti vengono sopravanzati da spiriti volanti che fanno riecheggiare ad alta voce tre esempi di carità: il “Non hanno più vino” che dice la sollecitudine materna di Maria alle nozze di Cana, la gara tra Oreste e Pilade e, infine, le parole dell’ultima cena, laddove un povero cristo (no, la “c” minuscola non è messa lì per errore…) già votato a morte, invita i suoi discepoli ad amare i propri nemici.

È quest’ultimo invito che anima l’attenzione e che pare tanto più centrato quanto proposto in un contesto in cui il bene dell’altro è visto con occhi cattivi (“vedere di malocchio, guardare in tralice” è la radice etimologica di “invidia”).

Ne è prova l’incontro con la senese Sapìa, astiosa a tal punto da invocare Dio per la sconfitta dei propri concittadini nella battaglia di Colle Val d’Elsa, ma ancora più la pena che, per contrappasso, gli invidiosi sono costretti a patire per purificarsi.

Essi non solo indossano vesti pesanti e ruvide come un cilicio, ma soprattutto hanno gli occhi cuciti con fil di ferro. Biliosi in vita, tanto da non voler ammirare il bene altrui, ora sono ciechi e costretti a procedere a tentoni sostenendosi a vicenda.

Basterebbe questa immagine a riscattare un canto che, a detta dei critici un tantino pelosi (invidiosi a loro volta?), non sarebbe tra i più riusciti. Dante rende plasticamente la pena di chi non ha occhi per la luce, quasi a dire: «Non hai voluto godere del bene altrui, hai pensato di essere migliore degli altri e di poter far da solo, sei arrivato ad augurare il male per il solo gusto di veder cadere chi è salito in alto? Ecco, ora ti tocca chiedere aiuto, hai bisogno che qualcuno veda per te e ti faccia strada, devi riconoscere la tua ottusità».

E a chi di noi obiettasse che l’invidioso attira riprovazione e non merita aiuto, Dante risponde con le parole di Gesù: «Amate da cui male aveste» (v.36).

Amate chi vi ha fatto del male: fatelo per voi stessi, non solo per lui. Fatelo a prescindere dai meriti. Fatelo perché fa bene e vi fa bene. Fatelo per il bene. Che è luminoso e, presto o tardi, apre, illumina e riscalda la via. Fatelo perché è bello. Amate i vostri nemici. E non lasciatevi avvelenare dal rancore. Guardate avanti, non di sbieco, ché l’invidia è una cieca che acceca. Parola di Dante.

Paul Léautaud: «Quando non si hanno più capelli si trovano ridicoli i capelli lunghi».

Socrate: «L’invidia è l’ulcera dell’anima».

William Arthur Ward:

«Benedetto colui che ha imparato

ad ammirare, ma non invidiare,

a seguire ma non imitare,

a lodare ma non lusingare,

a condurre ma non manipolare».


FonteDesigned by Eich
Articolo precedenteBINARIO MORTO
Articolo successivoL’educazione come efficace vaccino per la Scuola
La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...