«Nessun uccello vola appena nato, ma arriva il momento in cui il richiamo dell’aria è più forte della paura di cadere e allora la vita gli insegna a spiegare le ali»
(Luis Sepúlveda)

Mio diletto, mia diletta,

è arrivato: è il nostro ultimo giorno di lezione.

Ricordi? Sembra ieri, ma sono passati 5 anni. Ti ho trovato poco più che ragazzino e ragazzina. Ora sei un giovane uomo, una giovane donna. Abbiamo fatto un patto in quel tuo primo giorno di scuola: tu ti saresti fidato e affidato, io ti avrei dovuto guidare; tu col tuo impegno, io con il mio; io con la mia passione, tu con la tua sete.

Ed ora siamo qui. Occhi negli occhi, l’emozione, palese, si taglia a fette, è difficile da contenere.

A cinque anni di distanza, volati come in un sol giorno, devo riconoscere che non sempre sono riuscito a onorare il mio impegno. Avresti meritato di più, avrei dovuto darti di più: più professionalità, più dedizione, più visione. Avrei dovuto ascoltare le parole che non mi hai detto, i tuoi occhi urlanti nel silenzio, cogliere il tuo capo chino. Avrei dovuto fare attenzione più a te che alla lezione che avevo in mente.

Sai, avrei voluto amarti da Dio. Ma sono solo un uomo, lo sai bene, e ho i miei limiti, faccio i miei sbagli. Uno dei segreti che ho provato a svelarti nel tempo vissuto insieme è che davvero difficile perdonarsi di non essere perfetti.

Tu però sai un’altra cosa: ho provato a darti tutto me stesso, a mettercela tutta, a darti anche ciò che non avevo, ciò che non ero. Sì, sono consapevole di aver commesso tanti errori, ma posso dirti di non essermi mai risparmiato. E nessuno sa meglio di te se dico il vero.

Vorrei che portassi con te l’incanto che abbiamo scoperto insieme, i tesori che abbiamo amato.

La bellezza, la bontà, la giustizia, la verità non seguono la moda. In questo mondo tutto passa, tutto è minacciato, niente è al sicuro, tutto è fragile. Eppure, ciò che vale davvero, resta e non tramonta.

Serba con te la compassione e l’indignazione. Vorrei che ti commuovessi per le alture, che ti innamorassi delle nuvole, che sorridessi alle onde, ma soprattutto vorrei che ti indignassi per ogni ingiustizia e non tollerassi la sofferenza dell’indifeso. Vorrei che amassi la terra. Che compatissi ogni debolezza. E che gioissi in ogni lacrima.

E sì, vorrei che tu imparassi a perdonarti e a perdonare.

Vedi, vorrei tante cose, ma è il nostro ultimo giorno di scuola e non c’è più spazio per le parole.

Allora sai cos’altro vorrei? Abbracciarti, poi, sciogliere il mio abbraccio e dirti: «Buon volo, figlio mio! Ora vai, ora sai… ».


Fontehttps://pixabay.com/it/photos/gabbiani-uccelli-animale-volante-2382110/
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...