In occasione della festa per i 110 anni dell’Azione Cattolica della Diocesi di Andria, intervistiamo il prof. Giuseppe Notarstefano, Vicepresidente nazionale di AC per il Settore Adulti.

Prof. Notarstefano, qual è il senso della festa per l’Azione Cattolica, che celebra i suoi 110 anni nella Diocesi di Andria e 150 come associazione nazionale?

La festa ci dice della bellezza dello stare insieme. Festeggiamo non solo tra di noi ma invitiamo anche gli altri, perché la nostra forza è nello stare insieme, nel costruire la comunità, nel tessere relazioni significative che ci danno gioia.

La storia dell’Azione Cattolica ha visto crescere l’associazione nella Chiesa e con la Chiesa. È così anche oggi?

L’AC rappresenta il desiderio e la risposta che i laici danno di essere partecipi alla realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa e quindi oggi, come nei suoi 150 anni di storia, l’Azione Cattolica  è essenziale ad una Chiesa che vuole dare ai laici un ruolo importante nell’opera di evangelizzazione. L’AC ha preparato la grande stagione della Chiesa rinnovata dal Concilio Vaticano II: attraverso la formazione dei laici, l’impegno per il sociale, una formazione autenticamente spirituale (che poi diventerà la scelta religiosa). Il Concilio è la bussola e la mappa della Chiesa del Terzo Millennio. Papa Francesco ce lo sta ricordando perché con il suo magistero e quella che chiamiamo “enciclica dei gesti” sono una traduzione vivida del Concilio. L’AC non solo si riconosce nell’insegnamento del Papa ma si sente incoraggiata ad andare più avanti, come ha sempre fatto.

La vocazione laicale è una “vocazione sociale”, diceva Giorgio La Pira. Quanto conta per l’AC questo richiamo all’impegno sociale e politico, sollecitato recentemente con forza anche dal Papa e dalla riflessione del Presidente nazionale Matteo Truffelli, autore del volume La P maiuscola (AVE 2018)?

L’impegno civile, sociale e politico sono l’essenza stessa della testimonianza dei laici cristiani. I laici testimoniano la bellezza dell’essere credenti soprattutto nella vita quotidiana. Non si tratta solo di un dovere ma di una chiamata particolare. E in questa fase in cui ci rendiamo conto che anche le nostre Istituzioni democratiche sono messe in discussione, ancora una volta i laici di Azione Cattolica sono chiamati a dare il loro contributo che è soprattutto culturale, formativo, educativo, che deve portare lontano e non deve schiacciarsi sulle urgenze del momento presente.

Qual è il tuo sogno per l’AC del futuro?

Mi piace pensare ad un’AC sempre più come una città aperta e ospitale, un luogo dove tante persone possano passare. Non tutte ci rimangono, a volte ci transitano soltanto, ma tutte possono sperimentare la bellezza e la vitalità di uno stare insieme, che è bellezza di per sé, è il gusto della relazione e non è finalizzata a fare delle cose. È il gusto di sentirsi  dono l’uno per l’altro e di scoprire che in questo dono c’è il Signore. Perché l’altro, il nostro prossimo, è il Signore. A cominciare da chi è ai margini, dal più fragile, perché è solo se ci prendiamo cura dell’anello più debole che ci prendiamo cura della forza di tutta la catena. Ecco come vorrei rappresentare l’AC del futuro: come una grande e bella città, magari anche un po’ disordinata o con un po’ di spazzatura (come capita nella mia Palermo in questi giorni!) ma una città dove tutti stanno bene perché stanno insieme.