«Molta gente è venuta a conoscenza dell’esistenza del cervello solo quando gli è stato servito in tavola panato e fritto»

(Dal web)

Il volo pindarico per eccellenza.

Stavo cercando di ricordare da dove diavolo venisse il soprannome con cui mi chiamava mia madre: Papìk. Mi sono arrovellata parecchio prima di illuminarmi e mi è tornato in mente che Papìk è il protagonista di un romanzo che narra la storia di due generazioni di Inuit, le popolazioni indigene delle coste artiche dell’America, distribuite dalla Groenlandia  all’Alaska.

Intanto il disappunto: mia madre non poteva che chiamarmi, sempre, con il nome di un maschio, per giunta indigeno. Inutile io mi faccia domande, per darmi risposte. Credo che il tutto si commenti benissimo da solo, almeno agli occhi di chi mi conosce. Ma questa è un’altra storia.

Da Papìk, sono passata a pensare agli eschimesi e al fatto che siano tondeggianti perché in natura le forme tonde trattengono il calore.

Da una tribù di palline, dunque, ho ricordato che quello degli eschimesi è un popolo di tabù, come li definiremmo noi, cresciuto con riti precisi: mai mischiare carne di foca con carne di animale terrestre, per esempio, così come mai contravvenire ai riti del lutto o conciare la pelle delle renne prima che la stagione di caccia sia finita, e così via.

Alla fine sembrano cose incomprensibili, ma di fatto nemmeno a noi mancano le superstizioni: non passare sotto una scala, non attraversare la strada dopo il gatto nero, toccare ferro contro la sfortuna… un’altra serie di faccende irrazionali, ma molto ben radicate nella cultura.

Da questo insensato giro dell’oca, mi sono chiesta come possiamo dirci liberi di cercare la verità, dal momento che, in qualsiasi parte del globo siamo nati, restiamo assoggettati  alle regole di una cultura specifica, nel suo modello limitato. Dacché il mondo è mondo, siamo vincolati dalle tradizioni, dal ceto, dalla nazionalità, dalla religione, dall’educazione, dall’arte, dalle consuetudini, dai costumi, dal cibo, dal clima, dalla famiglia, dal gruppo dei pari: tutte influenze e pressioni che, come dogmi, condizionano le nostre reazioni e, ci piaccia o no, ci fanno uniformare. Pena la solitudine e l’isolamento.

Quindi, mi sono detta, quando mai potremo dirci messi nella possibilità di cercare il vero? O una sua parte? Non è proprio un passatempo da domenica mattina, in giro per uliveti sotto al sole! Si tratta di cercare condizionamenti migliori? O addirittura di uscire da qualsivoglia condizionamento?

Non so rispondermi per il momento: bisognerebbe avere una mente totalmente libera, scevra da qualsiasi proiezione, in grado di comprendere in autonomia senza la guida di altri, una coscienza che si conosca nel profondo per quel che realmente è. Ma, ancora, si può capire cosa “realmente è”, senza cadere nella trappola del “realmente è… rispetto a”?

Sarò franca, non lo so.

Ed ancor più francamente rinuncio: prima di iniziare a pensare avevo preparato l’impasto per le polpette. Ho deciso di continuare: a volte è decisamente meglio friggere.


FontePhoto by aliet kitchen on Unsplash
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.

1 COMMENTO

  1. I condizionamenti ci attanagliano e la paura dell’isolamento e della solitudine ci spinge spesso e volentieri all’omologazione senza pensare che siamo molto di più di quello che diamo a vedere. Il problema è che se non ci crediamo in primis noi, neanche gli altri potranno vedere quel mondo singolare e bellissimo che ognuno di noi è.

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