Come può l’empatia, ancora oggi, dipendere dal colore della pelle?
Come possono delle donne essere aguzzini di altre donne?
Come si può essere scherniti per la religione praticata?
E se non ci fermiamo ora, dove arriveremo domani?
Nella Mappa dell’Intolleranza elaborata da Vox, Osservatorio Italiano sui Diritti, già nei primi mesi del 2019 era stato registrato un generale aumento dei tweet di odio nei confronti dei migranti (+15,1%), degli ebrei (+6,4%), dei musulmani (+6,9%) e delle donne (+1,7%). Solo i tweet d’odio rivolti agli omosessuali hanno registrato una diminuzione (-4% circa).
Non si tratta d’idee politiche, ma del buon senso che poco a poco sta venendo meno. E anche di un certo livello di civiltà che, forse, nel nostro Paese non è mai stato pienamente raggiunto.
Al pronto soccorso di Sondrio, una giovane ragazza di vent’anni perde la figlia di soli cinque mesi. Un dolore che chiunque dovrebbe comprendere e compatire, una tragedia sotto ogni punto di vista. Ma in quel pronto soccorso, oltre al dolore, la giovane madre è stata costretta a sovraccaricarsi di altri sentimenti. Non solo sconforto e abbandono, che pure sarebbero ingiustificabili. È stata sobbarcata dall’odio delle persone perbene, silenziosamente in fila con lei. Non una parola di compassione, solo di odio e di disprezzo per le sue urla. Perché non compassione? Perché la ragazza in preda ad uno dei dolori peggiori che si possano provare non era italiana, o meglio, la sua pelle non era bianca. “Fate smettere di urlare questa scimmia”, tra le tante parole di “conforto” non pervenute alla ventenne nigeriana.
Come può, oggi, l’empatia, misurarsi con il colore della pelle?
Il 2019 è quasi giunto al termine, eppure, sembra di essere ritornati, quest’anno più che mai, ai tempi delle antiche fazendas e della schiavitù, in un clima di odio razziale e di violenza, dove un uomo sentiva il diritto di frustrare un suo simile esclusivamente in virtù del diverso colore della loro pelle.
Nella vicenda della capitana Carola Rackete il popolo del web ha dato il meglio di sé, scatenandosi non solo contro i migranti, ma contro una “fuorilegge” donna che salva vite. Due reati in uno. La gravità della situazione si acuisce analizzando i commenti dei social, perché tra gli autori c’erano tante donne, evidentemente troppo impegnate a camuffare la propria invidia piuttosto che ammettere una mancanza di autostima.
Ma chi sono gli altri destinatari dell’odio in rete?
Sempre gli stessi, da secoli. A giudicare dalla risonanza che certi tweet hanno e dalla facilità con cui certe parole sono elargite, senza vergogna, sembrerebbe quasi di essere rimasti ancorati al Medioevo.
Nel 2019, ancora, esistono attacchi antisemiti, agli islamici, a disabili ed omosessuali.
Come non citare l’episodio di Liliana Segre? Una donna che ha vissuto sulla sua pelle la peggiore atrocità mai commessa nella storia, in un paese civile, può, alla sua non più tenera età, essere vittima di offese e insulti, ogni giorno?
Come non porre l’attenzione sulla vicenda del pastificio della “Roma bene”? L’odio si è scatenato a seguito di un bellissimo gesto di “tolleranza”, per non dire scontato in un mondo normale.
La decisione di preparare su ordinazione dei tortellini senza carne di maiale ha dato il via ad una serie di commenti folli, offensivi nei confronti dell’attività commerciale, che avrebbe così schiaffeggiato la tradizione gastronomica italiana e il Natale degli italiani. Alcuni, erano così indignati e pronti a voler trovare per forza un bersaglio contro il quale accanirsi, da trascurare la banale ed ovvia considerazione che ci sia anche chi non mangia carne, indipendentemente dalla propria nazionalità o religione.
L’effetto boomerang della rete, in tutte queste situazioni, non fa che peggiorare le cose. Ci si sente forse più legittimati ad offendere perché tutti offendono; non si è più delle pecore nere, guardate con aria di sufficienza e disprezzo dal gregge, ma dei leoni.
E le regole della tanto promessa censura sui social network non sono forse così efficaci. Anzi, delle volte è ostacolata dalle stesse istituzioni che dovrebbero porre un freno ad un certo tipo di messaggi. Questo è quanto accaduto al profilo di un partito di estrema destra che, prima accusato della diffusione di propaganda d’odio, ha poi ottenuto una sentenza a suo favore dal Tribunale di Roma, il quale chiedeva a Facebook di riattivare la pagina oscurata. Agendo arbitrariamente, il colosso americano avrebbe scavalcato le nostre leggi, chiudendo la pagina prima che i contenuti fossero vagliati da un giudice che ne potesse affermare l’illegittimità.
Se non ci fermiamo adesso, tutto questo, a cosa porterà?
Non ci si può appellare al diritto alla libertà di parola solo quando esso fa comodo. Si sta assistendo ormai troppo spesso a chi divulga fiero le proprie idee malate, non si ha più né paura né vergogna di mostrarle fanaticamente, proprio in nome di quelle libertà di parola e di pensiero che, in maniera democratica, sono state conquistate da chi le voleva e meritava davvero.
Ma come educare i cittadini, se talvolta gli stessi educatori e gli stessi politici, anziché fornire lodevoli esempi da seguire, sono al centro delle più cliccate campagne d’odio?