«È vero che la vita è ingiusta e che gran parte di essa non può essere aiutata, ma se posso fare qualsiasi cosa per evitare l’ingiustizia o rimetterla a posto, lo farò»
(Daphne Caruana Galizia)
Il 2 novembre si celebra la Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, che nel 2013 l’ONU indisse in memoria dell’omicidio di due giornalisti francesi uccisi nel Mali nello stesso anno. Ma questo è bastato a fermare il mare di sangue che inonda le spiagge di verità dei reporter del mondo?
Quattro anni prima, più di trenta giornalisti erano stati uccisi nel massacro di Maguindanao, nelle Filippine, in quello che fu definito l’attacco mortale a dei giornalisti più grave della storia. La campagna social in onore di tale ricorrenza mostra un atteggiamento più rapido, che mira direttamente al cuore dei lettori: #TruthNeverDies, la verità non muore mai (ma le persone sì). Nel 2017 l’UNESCO invita 62 Stati Membri a prendere parte al progetto di monitoraggio dell’incolumità dei giornalisti. Della totalità degli invitati solo il 74 % (46 Stati) si rese parte attiva fornendo informazioni sullo stato delle indagini.
Nel 2018 la ricorrenza si veste d’ importanza in seguito all’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, avvenuto nel 16 ottobre dello stesso anno a Malta. La reporter maltese, componente del team internazionale di giornalisti di inchiesta vincitore del Pulitzer 2017 con le rivelazioni sui Panama Papers, fu uccisa all’età di 53 anni da una bomba posta nella Peugeot 108 presa in affitto poche ore prima. Il violento boato non rimase indifferente all’orecchio del figlio Matthew, in quel momento in casa loro, che scendendo in strada ritrovò il corpo quasi irriconoscibile della madre.
Le statistiche sottostanti emerse dagli studi dell’UNESCO rendono spaventosamente l’idea di quanto sia stato insufficiente monitorare l’incolumità dei giornalisti per portare a termine gli obiettivi della Giornata Internazionale e per porre fine all’impunità per i crimini:
1010 giornalisti sono rimasti uccisi nel mondo dal 2006 al 2018;
il 90 % dei casi sono rimasti impuniti;
il 93 % degli uccisi sono cronisti locali;
il 7 % sono inviati all’estero, tra questi anche i corrispondenti di guerra.
Nel momento in cui l’UNESCO fornisce tali dati, tende a precisare quanto questi siano esclusivamente i numeri rappresentanti gli assassinii, ma esistono anche attacchi definiti non fatali (tra i quali minacce e ritorsioni).
La libertà stampa è costantemente sotto attacco e i maggiori esponenti vittime di tale desiderio di spegnere la verità sono i giornalisti. L’Italia occupa una posizione ancora notevolmente bassa (43esima su 180) come emerge dalla World press freedom index2019, l’indice mondiale sulla libertà di stampa. Tra gli innumerevoli nemici degli operatori dell’informazione, emergono con ruolo determinante i leader politici che fomentano l’odio per la verità, basti pensare alla scelta di Matteo Salvini di ritirare la scorta fornita a Roberto Saviano, il noto giornalista italiano perseguitato da infinite minacce di morte. Inoltre oggi non è facile mettere a tacere i leoni da tastiera che troppo spesso, nonostante un alto livello di ignoranza, sono liberi di esprimersi con linguaggio di disprezzo sui social.
In memoria di tutti gli innocenti assassinati e in onore di tutti coloro i quali ancor oggi trovano la forza di far fronte a minacce e ritorsioni, coperti da scarsi tentativi di monitoraggio e sicurezza, penso sia importante, nella Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, menzionare una citazione di Daphne Caruana Galizia, che racchiude in poche parole l’unica colpa attribuibile ai giornalisti: voler difendere e promulgare le verità nascoste mondiali. Scrive Galizia:
«È vero che la vita è ingiusta e che gran parte di essa non può essere aiutata, ma se posso fare qualsiasi cosa per evitare l’ingiustizia o rimetterla a posto, lo farò».