Il Parco Archeologico di Faragola: una bella storia finita in fumo! Ma noi archeologi siamo “capa tosta” e non ci arrenderemo facilmente…
Come tutte le mattine mi sveglio per andare in cantiere. Ore 6.30. Colazione veloce e si parte. Controllo veloce dei social mentre gli operai organizzano la giornata di lavoro.
Oggi però in timeline su Facebook non ci sono i soliti post mattutini con il Buongiorno, le citazioni, le bufale o le foto della colazione.
No, oggi sulla mia timeline si vedono macerie e lamiere in mezzo a un proliferare di reaction Sigh e Grrr.
Oggi il mio feed Facebook racconta un angolo di Puglia, e non è quella patinata dei matrimoni miliardari o dei selfie di Madonna, non si vedono turisti tarantati o scorci mozzafiato.
Oggi il mio Facebook racconta un disastro, quello della Capitanata, terra dimenticata dove la malavita prolifera, dove è difficile recuperare spazi collettivi, dove lo Stato spesso è distante e dove si distruggono siti archeologici.
Siamo ad Ascoli Satriano. Qui si conserva(va)no i resti della villa di Faragola, una dimora di età tardoantica della quale è stata documentata l’occupazione nei secoli IV e VI d.C. Si tratta di “una delle più lussuose manifestazioni di questo tipo di edificio rurale finora note in Italia meridionale”, i cui scavi sistematici sono iniziati nel 2003 sotto la direzione scientifica del Prof. Giuliano Volpe dell’Università di Foggia.
Nel 2009 si è preso atto che un sito archeologico deve essere restituito al pubblico se vuole continuare ad essere parte della memoria e della storia delle comunità locali, ed è così che nasce il Parco Archeologico di Faragola. Da allora, grazie agli investimenti pubblici, è continuato ininterrotto il lavoro di valorizzazione: restauri, coperture, marketing territoriale, insomma tutte quelle operazioni che consentono di vivere un sito e non soltanto di passarci davanti blaterando la trita e ritrita reprimenda contro “i soliti sassi antichi”. Il team di lavoro di Faragola voleva preservare e raccontare la storia di chi ha abitato nel lusso di questa antica villa rurale. La residenza era ricca di mosaici sia negli ambienti termali dove i ricchi proprietari passavano ore di relax come in una spa, che nella lussuosa sala da pranzo.
Direte voi: allora tutto bene? Una bella storia di ricerca e valorizzazione.
Sì, fino alla notte tra il 6 e il 7 settembre 2017 quando è andato tutto in fumo. Letteralmente.
Un incendio (doloso?) o cariche di esplosivo hanno buttato per aria anni di lavoro: la copertura dell’area archeologica completamente collassata su se stessa, di quello che era un parco archeologico attrezzato non rimane traccia. E forse neanche della villa.
Le prime ricognizioni dopo la nottata di fuoco parlano di “Mosaici danneggiati irrimediabilmente, marmi cotti, calcinati per il calore, strutture murarie distrutte! L’oscillum decorato con la figura di danzatrice presente nello stibadium asportato, rubato. Restano ormai solo, oltre ai pochi oggetti portato al museo (la statua di bambino cacciatore, i tre pannelli in opus sectile per fortuna asportati per essere restaurati) e ai materiali nei nostri laboratori, i nostri studi, le foto, i video, i disegni, la nostra memoria e la passione per un sito straordinario.” (Giuliano Volpe su Facebook)
Le responsabilità dello scempio saranno appurate dagli organi preposti. Di certo sembra un atto deliberato, volto a distruggere, a cancellare le tracce di un bel progetto che dava respiro ad una parte di territorio pugliese lontano da lustrini e pailettes.
Avvertimento? Vendetta? Troppo presto per fare congetture.
Rimane l’amarezza di vedere anni di ricerca svanire e restano le lacrime di tutti quei professionisti che hanno contribuito allo scavo e alla documentazione del sito.
Ma si sa che noi archeologi siamo “capa tosta” come si dice qui in Puglia e che è difficile farci desistere quando ci mettiamo in testa qualcosa. E da oggi in testa abbiamo la ferma volontà di far rinascere la villa di Faragola perché #FaragolaSiamoNoi.
La villa di Faragola su Youtube: