La sveglia suona e interrompe il sogno che stavo facendo.

Non ricordo bene cosa stavo sognando, e non ho tempo per pensarci; sono le sette, e sta per iniziare un’altra giornata di lavoro. Istintivamente dico qualcosa a mia moglie, ma lei non c’è; è dai suoi genitori a Zhanjiang, città medio-piccola (in Cina le città di circa 7 milioni di abitanti sono considerate tali) della provincia Guangdong, a circa 2300 km a Sud di Pechino.

Tornato con la mente alla realtà mi alzo, e apro le tende; fuori c’è il sole, non si vede una nuvola e il cielo è azzurro, il livello d’inquinamento sembra molto basso, e quindi concludo che anche oggi andrò al lavoro in bicicletta. Certo, le previsioni del tempo mi dicono che le massime odierne saranno di 35 gradi (è luglio), ma da casa mia a scuola sono solo circa 3 km, senza la minima pendenza, e le strade di Pechino hanno tutte (o quasi) la corsia riservata alle biciclette, perciò in bici ci metto meno che in metro o in autobus.

Opto per una colazione all’italiana, latte e biscotti al cioccolato, più una brioche che mangerò a scuola, accompagnata dal caffè della macchinetta espresso dell’aula insegnanti. Sembra essere un inizio di giornata come tanti altri, ma ci sarà un piccolo inconveniente. Arrivato all’ultimo incrocio prima della destinazione, decido come sempre di farmi gli ultimi quattrocento metri contromano, piuttosto che allungare il percorso di altri 500 metri con tanto di inversione a U per rimanere nel giusto senso di marcia. So che non dovrei farlo, ma così facendo risparmio almeno tre preziosissimi minuti per non arrivare in ritardo e godermi il caffè prima della lezione.

Quel giorno però a circa 100 metri dalla scuola vedo un paio di vigili con tutta l’aria di essere lì per fare un po’ di multe. Rimango tranquillo perché di solito il loro obiettivo sono i motorini, ma uno di loro mi fa cenno di fermarmi. Oh no, penso, e adesso come faccio? Guardo l’orologio, mancano quindici minuti all’inizio della lezione, e spero di poter sbrigare questo inconveniente in fretta. Mi scuso subito ammettendo la mia colpa, spiegando che vado di fretta perché rischio di arrivare tardi al lavoro. Il vigile, evidentemente sollevato nel sentirmi parlare in cinese, mi chiede un documento. Io non ho con me il mio passaporto, ma ho una foto di esso nel cellulare, e gli chiedo di aspettare un attimo che io la trovi per mostrargliela. Lui però evidentemente è di buon umore, si fida di me, o più probabilmente neanche lui ha voglia di perdere tempo, e mi dice che non è necessario, basta che io scriva i miei dati sul modulo. Modulo elettronico naturalmente, e una volta compilato ne viene fuori la mia multa che è di ben …26 yuan (circa 3,5 euro)! Sollevato dalla rapidità dell’operazione e dall’esigua entità della multa, chiedo se posso pagare con il cellulare, cosa che ovviamente è possibile e mi viene rilasciata una ricevuta, su cui c’è scritto che ho tempo 60 giorni per presentare ricorso e come farlo. Naturalmente non ho nessuna intenzione di fare ricorso, e mi riprometto di non andare mai più contromano in bicicletta. Salutatici cordialmente, lui si appresta a multare qualcun altro, io invece mi avvio a scuola (mi viene concesso di fare gli ultimi metri controsenso).

Ormai è tardi per il caffè, ho giusto il tempo di chiedere all’addetta alle fotocopie di aiutarmi a preparare il materiale per la lezione di oggi. L’argomento del giorno è il congiuntivo (livello B1) e so già che sarà una faticaccia. Per capire le difficoltà che si possono incontrare nell’insegnare l’italiano ai cinesi, dovete sapere che il cinese è una lingua apparentemente molto difficile da studiare, ma in realtà dal punto di vista sintattico e grammaticale è piuttosto semplice, soprattutto perché i verbi hanno un’unica forma, non esistono coniugazioni verbali. Per darvi un’idea di ciò, vi faccio un esempio: “Io vado a Milano” in cinese si dice 我去米兰(Wo qu Milan). Il verbo 去(si trascrive “qu” ma la pronuncia è simile a “ciù”)si scrive e pronuncia allo stesso modo qualunque sia la sua collocazione temporale; praticamente è come se noi dicessimo “Io andare Milano” (manca pure la preposizione), sia al presente che al passato o al futuro (“Ieri io andare Milano”, “L’anno prossimo io andare Milano”). Non essendo abituati a coniugare i verbi, per molti studenti è già molto difficile imparare il presente e il passato prossimo dell’indicativo, figuratevi quindi quanto possa essere complicato per loro padroneggiare il congiuntivo, una forma verbale ostica anche per molti italiani (oserei dire la maggior parte).

Questo però è anche il bello del mio mestiere, perché è un po’ una sfida da vincere, e quando gli studenti ti seguono e apprendono è davvero una bella soddisfazione, anche se devo ammettere che a volte è davvero dura e ci vuole molta pazienza. Questa classe però non è delle peggiori, e si arriva abbastanza tranquillamente alla pausa dove posso finalmente bermi il caffè e mangiarmi la brioche che mi sono portato da casa, oltre a scambiare due chiacchiere con i colleghi.

La pausa dura venti minuti, e al rientro in classe mi rendo subito conto che la seconda parte della lezione non sarà così liscia, visto che la prima domanda che mi viene posta da uno studente è “Che cos’è il congiuntivo?”. Come se nelle prime due ore di lezione avessimo parlato d’altro! Succede spesso che gli studenti dimentichino velocemente ciò che hanno appreso in classe, anche in tempi record, ma fortunatamente ci sono anche studenti molto bravi che aiutano noi insegnanti a rispiegare agli studenti più lenti i concetti appena insegnati.

Si arriva così a fine lezione, e con alcuni colleghi mi reco in un ristorante gestito da cinesi di etnia Hui, originari dell’Ovest della Cina. Si tratta di cinesi musulmani, è perciò il loro menù è soprattutto a base di carne bovina e ovina, il pane è azzimo e naturalmente non è presente nessun piatto a base di carne suina. Il ristorante vicino alla nostra scuola non è uno dei migliori rappresentanti di questa cucina, ma per rapporto qualità-prezzo si fa apprezzare.

Finita la pausa pranzo (un’ora), c’è chi rientra per la lezione pomeridiana, ma io per oggi ho finito, e quindi riprendo la mia bici per tornare a casa (rispettando tutti i sensi di marcia). Fa molto caldo, perciò non vedo l’ora di arrivare a casa per farmi una bella doccia e stendermi un po’ sul letto a riposarmi e ad ascoltare un po’ di musica.

Faccio una videochiamata a mia moglie, che tra le altre cose mi ricorda che non posso sempre mangiare fuori, e che dovrei andare a fare un po’ di spesa. E così il pomeriggio vado a fare la spesa in un mercato vicino a casa mia, che naturalmente non è uno dei famigerati wet-market di cui si è parlato tanto ultimamente, ma un normalissimo mercato dotato di corrente elettrica e frigoriferi.

Fare acquisti in Cina è sempre più comodo, perché si paga tutto tramite l’applicazione Weixin (o Wechat), e ormai in Cina quasi nessuno, se non i più anziani, va in giro con i contanti. Tornato a casa comincio a prepararmi la cena, e cioè…un piatto di italianissimi spaghetti con il ragù. Non saranno buoni come quelli di mia madre, ma sotto la spinta di mia moglie che mi ha insegnato un po’ di trucchi in cucina (lei ormai è specializzata in cucina fusion) ho imparato anch’io a preparare piatti decenti. In realtà, essendo venerdì, la sera potrei mangiare fuori con degli amici, ma per questa sera ho deciso di declinare l’invito.

Sono un po’ stanco, è stata una settimana intensa, e preferisco rimanere a casa a mangiare i miei spaghetti al ragù e a guardare “Il traditore”, l’ultimo film di Bellocchio che sono riuscito a trovare gratuitamente su un sito cinese. Inoltre, il giorno dopo non lavoro e vorrei approfittare per andare alla piscina che si trova all’ultimo piano di un hotel nel centro storico di Pechino. È un po’ cara, ma la presenza di poche altre persone, e la possibilità di fare il bagno con vista su Piazza Tiananmen meritano la spesa. Dopo una settimana piena di lavoro ho proprio voglia di un po’ di relax e una giornata in una piscina del genere per me è l’ideale. Per rilassarmi, però, è importante anche passare un po’ di tempo con gli amici, perciò la cena con loro è solo rinviata alla sera dopo; ristorante cinese più qualche bicchiere in un locale arredato in stile cinese anni ‘60, ma che serve soprattutto cocktail e bevande occidentali.

Prima di dormire, richiamo Feifei (mia moglie) per la buonanotte, e mentre parlo con lei, mi torna in mente una bella poesia di epoca Tang (VII-X sec.) che avevo letto un po’ di tempo fa, ma di cui non ricordo bene le parole e perciò a fine chiamata cerco quella poesia su un libro di poesie cinesi che ho comprato anni fa. Io e lei stavamo parlando di un luogo che avevamo visitato insieme e qualche giorno fa ci ero passato davanti, così mi sono ricordato di questa poesia che si intitola 题都城南庄 (Ti Ducheng Nanzhuang/Versi su un villaggio a Sud della capitale).

Per me è una poesia molto bella, perciò vi riporto qui i versi:

去年今日此门中 (Qu nian jin ri ci men zhong)

人面桃花相映红 (ren mian tao hua xiang ying hong)

人面不知何处去 (ren mian bu zhi he chu)

桃花依旧笑春风 (tao hua yi jiu xiao chun feng)

che tradotti significano:

In questo stesso giorno dell’anno scorso

in questo villaggio in cui sbocciano i fiori di pesco

il bel volto di quella ragazza e i fiori rosa si specchiavano l’una negli altri

Non so dove sia andata quella ragazza

ma i fiori di pesco come allora sorridono nel vento

La mia giornata finisce così, in poesia.