
Al rientro da uno dei suoi giri, Teresa ci ha portato un presente. Una cosina sporca e brutta, senza lustrini e fiocchi. Eravamo in tenuta “quattro amiche al bar” quando ha tirato fuori da un sacchetto di carta una specie di cipolle senza odore, mettendocele direttamente sul palmo della mano. Ai nostri sguardi attoniti ha chiarito: “Sono tuberi, ragazze. Dovete piantarli”.
È vero pure che le amiche si scelgono per affinità, ma agli stritolii di gioia è calato il silenzio.
Lo giuro, ho fatto tutto come dovevo, ho piantato il tubero a tempo debito e gli ho dato acqua, ho guardato la terra brulla del vaso e niente. Poi niente e ancora niente. La delusione totale è passata allo sconforto, poi rassegnazione. È trascorso tempo, come sempre. Ho dimenticato, per sopravvivenza. E ancora, ad un ennesimo dono di pianta questa volta per fortuna già fiorita, ho pensato bene di trapiantarla nell’unico vaso vuoto a mia disposizione. Sì, proprio quello. Del tubero neanche mi restava il ricordo.
Papere che siamo, alla prima spunta della propria piantina, le amiche sono andate in allegria. Ho avuto un sentore di sciagura. Non è che non mi nasce niente, io uccido proprio. Avevo asfaltato il tubero e chiaramente mi vergognavo a dirlo.
Nascerà, mi dicevano. Col cavolo, pensavo.
Neanche omissione di soccorso. È venuto da lontano, ha preso un aereo per planare in una indegna sepoltura da balcone. Basta a parlar male dei magneti, che a rompersi è un attimo e non soffrono. Non soffro.
La piantina mi guardava complice. Dovevo scagionarla e confessare. Così l’ho detto a Valeria, che ha commentato che solo io ero capace di tanto. Non credo sia un complimento. Con Teresa abbassavo lo sguardo. Manu, sorella di macchie, è complice a prescindere.
Cosa fare per non essere ciò che si è? Come poter far pace coi fiori?
Nell’attesa di non so quale condono amicale, ho notato del verde sospetto intorno alla piantina. Ho spostato le foglie per non credere nel miraggio e sgranato gli occhi. Il tubero si è riscattato e contro tutto ha buttato fuori la sua vita. Ha fatto così tale sforzo a nascere che gli ovuli fecondati sono due.
Ho due piantine di tulipani quindi che sgomitano e crescono nella mia gioia profonda. Mi eludono fieri. Hanno una pianta per nutrice, promettono mulini a vento e papere attorno allo stagno coi fiori e starnazzi colorati.
Guardo, aspetto trepidante il colore che ne nascerà. Chiudo il becco.
Su tutto un’unica attenuante: scrivo solo quando mi emoziono.