Qualcuno si è chiesto del tempo dei siriani vissuto sotto le bombe?

C’era un tempo sognato che bisognava sognare: recita così l’ultima frase del testo di una canzone di Fossati, che si intitola appunto “C’è tempo”. Una canzone in cui è facile riconoscersi umani e chi dice il contrario non ha mai vissuto nessun tempo: quello dell’amore, della poesia, della musica, del dolore, dell’attesa. Dire il contrario non è umano, perché può definirsi tale solo se chi vive i tempi che sogna o che gli spettano.

La definizione scientifica di tempo interessa solo a chi la studia, per gli altri è solo qualcosa di relativo. Quindi possiamo dire che il tempo non ha un valore scientifico nella vita di tutti, checché se ne dica. Il tempo in alcuni casi è come il denaro, qualcosa di convenzionale, che ha funzione strumentale e non serve nelle relazioni umane, se non per accordarsi sull’orario. Per esempio, due persone che condividono l’amore, usano il tempo e il termine “usare” ha un’accezione negativa, perché poi, una volta superato il vincolo dell’orario, quando si incontrano, il tempo non ha più una sua funzione oggettiva.

Altre volte, però, il tempo nelle relazioni umane, è qualcosa di tremendamente serio. Che senso ha tormentarsi con domande sul tempo, se poi il tempo che viviamo, che è oggettivamente limitato, lo usiamo per danneggiare qualcuno con bombe atomiche e guerre?

È naturale porsi domande e il più delle volte non trovare risposte, ma perché non siamo altrettanto irruenti nel chiederci che tempo viviamo? È un tempo di guerra? Di pace? Forse sbagliamo interlocutore, cioè la Storia, perché la si interroga inevitabilmente a posteriori e mai ci si domanda del tempo che scorre come soggetto delle nostre azioni.

Qualcuno si è chiesto del tempo dei siriani vissuto sotto le bombe? In che modo hanno vissuto il loro tempo? Hanno avuto tempo per vivere? A queste domande, nessuno sa rispondere, tutto quello che abbiamo sono meri numeri statistici che ci indicano appunto il numero dei morti. Al popolo siriano che ormai sta sparendo, non interessa se il tempo non esisteva prima che Dio creasse il mondo. Piangono per il loro tempo. Il tempo sognato che bisognava sognare, loro, non lo hanno avuto, perché morti o disperati al punto da non avere il tempo di sognare. Non avere il tempo di sognare è come negare la vita a qualcuno. Chi restituirà loro questo tempo?

A volte mi chiedo se sia giusto chiamare l’unione della vita con la poesia, tempo. Il tempo della poesia. Forse è sbagliato perché il tempo come lo concepiamo noi ha valore limitato, affonda le sue radici in campo scientifico. Quindi, paradossalmente, possiamo considerare il tempo come particella e l’uomo come antiparticella e dalla distruzione del loro incontro, si presenta la sostanza, cioè la poesia. E allora, l’uomo, con la poesia, non deve sospendere il tempo, ma attraversarlo, con il vantaggio di permettersi un viaggio temporale e quindi raggiungere il futuro o tornare nel passato e la poesia, proprio come nel concetto scientifico della luce, può essere diffusa, respinta, riflessa o creare zone d’ombra.