
Intervistare Luca Cipolla è un po’ come sfogliare un’enciclopedia, un mappamondo di parole ti si spalanca davanti con dolce fermezza e potente fragilità. La sua raccolta di poesie “In viaggio per dove” è un cammino senza meta verso dediche profonde, un inno alla vita che tange i confini di un’altra cultura, una vecchia terra, la Romania, che si riscopre nuova nel fascino e poliglotta nei versi d’amore.
Luca Cipolla, da redattore di Odysseo, abbiamo imparato a conoscerti, apprezzando i versi delle tue poesie, liriche sulle carpatiche alture della lontana ma vicina Romania. La tua silloge “In viaggio per dove” sembra trascendere gli spazi territoriali per riemergere negli sconfinati anfratti della psiche umana. Da dove nasce la tua esperienza rumena e “per dove” è diretta la tua penna?
La mia esperienza romena deriva dall’amore per i viaggi e dall’interesse nato in particolare per questa terra che tanto ricorda l’Italia della mia infanzia, evocativa di un mondo in parte ancora rurale e legato alle tradizioni, ma insieme moderno, in piena ripresa dal decadentismo di fine ‘900. Le conoscenze acquisite e l’amore per la gente, il paesaggio e la cultura hanno fatto il resto. La mia penna ha senz’altro tratto spunto e ispirazione da quei ricordi, ma quanto inchiostro sarebbe ancora dovuto scorrere alla luce di più profonde sensazioni e immagini dettate dall’inconscio e dall’anima. Il “per dove” del titolo cela in realtà una domanda retorica, proprio perché neanch’io conosco la meta della mia ricerca e della mia penna.
Nella prefazione del libro, citando Jalal al-Din Rumi, sostieni che la natura dell’Anima non sia fenomenica. Ritieni che la complessità umana possa essere raccontata da parole raccolte in un’opera che arrivi al cuore?
La complessità umana no di certo. Ciò che l’ispirazione può aiutarci a percepire è la realtà sottile, la si chiami anima o coscienza del mondo, il nostro vero io, la nostra vera casa; e come un apparecchio radioricevente, a cogliere le impercettibili vibrazioni che provengono dall’unica verità oggettiva laddove a questo mondo tutto è parziale, effimero in quanto vincolato alla materia. Ma appunto, come sostiene il mistico sufi Jalal al-Din Rumi, essa, l’Anima, “si svela spontaneamente ed ogni sforzo razionale non fa che allontanarla”. È la nostra vera identità che a volte bussa alla porta dell’ego e ci spinge a manifestare questa pace ineffabile attraverso una poesia, una melodia o forse un dipinto e comunque non necessariamente attraverso l’arte o la cultura. Laddove il cuore pulsa amore per qualcosa che ci fa sentire bene, ecco lì è la nostra vera anima o la grande Anima del mondo che si palesa, indefinibile, inesprimibile …beata.
Come cerchi di ovviare al rischio che la semantica emotiva sia meno incisiva nella traduzione in una lingua diversa dall’italiano?
Dando valore alla semantica lessicale, laddove un termine in lingua romena giunga ad essere il più possibile simile, a livello di significato se non anche sul piano etimologico, al corrispettivo italiano.
Quali difficoltà incontrano i tuoi testi nell’estenuante ricerca di equilibrio tra idillismo e modernità? In questo senso, cosa ti hanno lasciato in eredità autori come Urmuz e Mazilescu?
La stessa difficoltà che vive un uomo alla ricerca della propria dimensione in una modernità che non sente propria. La poesia in questo rappresenta una delle possibili vie di fuga. La realtà che viviamo è impostata, ordinata, la poesia invece risponde al solo comando dell’ispirazione e ti lascia uomo, anima libera. Urmuz è l’assurdo, Mazilescu l’onirico… Urmuz è surreale, il suo nome, le sue “Pagine bizzarre” rendono l’enigma di un’esistenza letteraria antitetica a quella naturale e quotidiana d’uomo su questa terra. La parola e la forma nelle poesie di Mazilescu, sdoganate dai più comuni canoni sintattici, provano a rappresentare l’interiorità del poeta creando quasi una realtà differente di sogni e visioni. Non posso dire d’aver tratto spunto dal genio di questi grandi autori, non sono un letterato. Di certo il loro modo di comporre versi evoca in me qualcosa di noto, che non saprei definire, ma che in qualche modo mi fa sussultare.
Sembra che la tua composizione letteraria tragga ispirazione da Mario Luzi e dalla convinzione che la perfezione marmorea, in stile Canova, finisca per stancare. I refusi, impercettibili ma voluti, spronano il lettore a ritrovare l’energia vitale decantata da Nietzsche. Quanto è labile la frontiera ossimorica che divide riflessione e ardore esistenziale?
La mia ispirazione è spesso solo percezione, non sono attratto dagli schemi e, come già evidenziato, non mi considero certo un letterato. Citerei Fortini quando, a proposito della poetica luziana, parlava di “certezza dell’essenza spirituale dell’universo”, la “possibilità di conoscere tale essenza per via intuitiva, indipendentemente dalla storia umana”; in qualche modo mi ci riconosco. È questa essenza spirituale, riportata alla luce, l’energia vitale che intendo io. Il confine tra riflessione e ardore esistenziale è di certo sottile, ritengo che il secondo sia immancabilmente alla fonte di una nuova percezione, molto più che il pensiero, ma nulla vieta di confonderli e determinare zone grigie che confondono l’autore stesso nel definire la propria poetica.
Progetti futuri?
Vivo il presente e ringrazio il cielo di avermi donato Miriam, la mia piccola di otto mesi, cui oltre ai miei genitori ed alla mia compagna Lucia è dedicata la silloge.
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