
Con Elvira Manco a proposito del suo romanzo Magnificat
Conosco Elvira Manco da moltissimi anni e ho sempre considerato interessante il suo percorso umano e spirituale, il suo adoperarsi per la circolazione delle idee e la diffusione di forme nuove di pensiero. Leggendo il suo romanzo Magnificat, edito da Amarganta, ho ritrovato la lucidità, la brillantezza di una scrittura da cui traspare la passione per le buone letture, le buone amicizie, l’approfondimento dei temi. Una complessità che si riverbera in un impianto narrativo ben costruito e dal ritmo calibrato e articolato. Mi è venuto spontaneo rivolgerle alcune domande, nella speranza di incuriosire i possibili lettori, perché quando ci si imbatte in un buon libro viene normale augurarsi che passi di mano in mano e susciti riflessioni, discussioni, e rafforzi il piacere della lettura.
Ciao, Elvira. Perché hai scelto di ambientare il tuo romanzo in una Puglia più a sud, che ricorda le case bianche di Ostuni, la terra rossa e gli ulivi di Cisternino?
Penso che la Puglia, tutta la Puglia, sia una regione dove il sacro si intreccia amabilmente col mistero, come accade nella taranta, che è danza e rituale insieme. Non posso dire di aver scelto io una terra che ricorda il Salento per l’ambientazione del mio romanzo; piuttosto è stato il Salento a insinuarsi tra le righe man mano che la storia mi prendeva.
La tua domanda, però, mi ha riportato alla memoria un episodio apparentemente poco significativo: anni fa, durante una piccola gita, mi ritrovai a percorrere una strada di campagna nelle vicinanze di Cisternino: terra rossa e ulivi secolari con tronchi così maestosi e belli che sfido chiunque a passarci accanto senza restare incantato. E infatti mi fermai per aver modo di ammirare con calma il luogo e di sentirne l’energia. Così come accade a Sara nel romanzo, anch’io mi infilai in uno di quei tronchi ed ebbi nitida la sensazione, la percezione, che il sacro era lì e potevo sfiorarlo con la mano.
Penso sia impossibile guardare uno di quegli ulivi millenari senza sentirsi vicini al divino. E poiché nel mio romanzo la ricerca del sacro è uno dei temi portanti, ecco che il ricordo degli ulivi del Salento mi è venuto incontro e si è imposto.
Da sempre sei stata e sei ancora una ricercatrice spirituale, e anche nel tuo romanzo la ricerca gioca un ruolo importante. Che rappresenta per te questo tipo di ricerca?
Mi piace il termine ricerca spirituale, l’ho usato intenzionalmente nel mio romanzo perché penso che questo aspetto sia un elemento importante, per me essenziale, di quella indagine interiore che mi aiuta a dare significato e valore alla mia esistenza. In passato ho avuto problemi seri di salute e più volte ho dovuto confrontarmi con l’idea della morte. E se sei ancora giovane ti chiedi: perché proprio io? Dov’è l’errore? Le domande esistenziali ti avvicinano ai grandi interrogativi del senso ultimo del vivere terreno; è stato allora che ho incontrato il buddismo e alcune splendide persone tra le quali c’eri anche tu, Paolo. Ed è cominciata così la mia esplorazione spirituale. Ma quando parlo di ricerca del sacro non intendo che mi piace passare da un’esperienza all’altra per il puro gusto di sperimentare, intendo invece che portare luce nelle profondità della propria coscienza è una forma di preghiera.
L’atteggiamento nei confronti della morte nella nostra società è indirizzato prevalentemente verso il rimuovere, girarsi dall’altra parte, fingere di ignorare. Nel romanzo invece si respira accettazione consapevole, anzi preparazione in vista di…, la morte è vissuta in maniera attiva ed è considerata un importante traguardo.
Girarsi dall’altra parte, fingere di ignorare. La risposta alla tua riflessione sulla morte è la diretta conseguenza di quello che ho detto prima. Quando si teme di essere giunti al capolinea, le possibilità sono sostanzialmente due: fingere di ignorare e accanirsi nelle cure più improbabili, arrivando al momento finale così sfiniti da rinunciare a ogni consapevolezza; oppure
prendere atto e prepararsi. E adesso, per rispondere meglio alla tua domanda, provo a trovare le parole per spiegare la mia attuale disposizione interiore nei confronti della morte. Mi fa paura. Non m’illudo di aver raggiunto una consapevolezza e un’evoluzione tali da poter dire che l’affronterò con serenità. Posso dire però che la osservo e la corteggio, nel senso che cerco di farmela amica, così che, quando sarà il momento, possa venirmi incontro senza troppo rumore. Questo per me è importante: passare la soglia con la compostezza dell’accettazione. Faccio un’ultima considerazione sulla morte: come mai attribuiamo così tanto valore e bellezza e sacralità al mistero della nascita e a
quello della morte soltanto paura, resistenza e persino repulsione? Sono misteri sacri entrambi. E se è vero che nessuno si sconvolge se la medicina si adopera in mille modi per favorire la nascita, perché la stessa intenzione positiva non può essere ravvisata nel favorire la morte?
Il romanzo prende forma a partire dalle nuove modalità di comunicazione informatica. Quanto pensi che incidano nella vita quotidiana della nostra società queste nuove forme del comunicare?
Sicuramente incidono molto. Nel mio romanzo, Emma e Sara vivono a qualche centinaio di chilometri l’una dall’altra e si incontrano per la prima volta grazie a un forum di poesia. Incontri virtuali di questo tipo sono all’ordine del giorno. Io stessa, specie in questo periodo di semi-clausura
pandemica, ho usato molto la rete internet, e così ho potuto conoscere persone interessanti che però vivono molto lontano da me; quasi certamente, non potrò mai incontrarle de visu, ma è stato importante conoscerle, avere degli scambi. Non sempre è possibile condividere i propri interessi con le persone della tua cerchia familiare e amicale, internet allarga gli orizzonti, ti offre luoghi virtuali dove trovare linguaggi simili al tuo e così sentirti meno solo. Cerco però di non dimenticare che la tecnologia, come qualunque strumento, può essere utile o dannosa. Per esempio, qualcuno dice che l’intelligenza umana, per la prima volta nella storia, è in diminuzione: non sarà che l’eccesso di mezzi tecnologici ci sta spegnendo il cervello? Pensa ai messaggi di whatsapp: veloci, stringati, basta una faccina. Quante parole dovremmo sprecare per sostituire una faccina che ride? La tecnologia esige velocità, la letteratura, invece, vuole lentezza, ponderazione, ascolto interiore. Tutte cose per le quali ci vuole l’intelligenza della parte destra del cervello che, invece, è messa sotto scacco da un eccesso di razionalità.
Ho trovato molto interessante come hai trattato nella storia l’argomento omosessualità femminile, perché nei diversi personaggi si assiste a un significativo cambio di atteggiamento, si passa dal pregiudizio iniziale, presente in special modo in Didina, a una forma di riflessione, a un ripensamento, e infine di accoglienza; pensi che l’arte, e nello specifico la letteratura, svolgano un ruolo importante nella lotta a certe chiusure dovute all’ignoranza?
Per rispondere a questa domanda ti dico subito che sono felicemente sposata con una donna. E ti dico anche che ho avuto i primi sospetti sulla mia omo-bisessualità proprio grazie a due romanzi, il primo (che ho riletto più volte) si intitola ‘Musica e silenzio’ di Anne Redmon; il secondo è ‘Il bacio della Medusa’ di Melania Mazzucco. In entrambi i casi, l’omosessualità è trattata con delicatezza mettendo in luce il grande travaglio interiore di coloro che, a tutt’oggi, vengono considerati diversi. La letteratura ha un potere enorme: aiuta il lettore a mettersi nei panni dell’altro, a comprenderne i sentimenti e quindi ad aprire il proprio orizzonte. Chissà, se non avessi avuto libri da leggere, forse sarei morta prima ancora di ammalarmi!
Si scrive sempre a partire da esperienze personali. Quanto di autobiografico è presente nel libro?
Perché ho scritto questo romanzo? Perché sento la necessità di dichiarare al mondo la bellezza delle emozioni e dei sentimenti, indipendentemente dalle persone che li vivono. Sai quanto tempo ci ho messo per capire che le mie preferenze sentimentali e sessuali vanno verso il mondo femminile? L’ho scoperto quando avevo quasi cinquant’anni. Come mai? Semplice: se ne parlava poco e male e io non avevo elementi o conoscenze sufficienti per esplorare questa realtà. Quanta energia emotiva ho dovuto reprimere prima di capire e di avere, finalmente, la fortuna di innamorarmi di una donna? Questo è autobiografico: ho preso spunto dalle mie esperienze personali, ma poi i protagonisti si sono imposti con le loro scelte di vita: tutti i personaggi presenti nel romanzo hanno qualcosa di mio. Sicuramente Emma mi corrisponde di più,ma anche Sara, Didina… Tutti i moti interiori che descrivo sono, o sono stati, miei; ci ho messo una vita per riconoscerli e levigarmeli dentro. Nel testo poetico che ho riportato alla fine del romanzo, trovi questi versi: “Costruisco parole lucenti, le lustro, le sminuzzo tra polvere e pietrisco, le smusso fino a farle fosforescenti.” Penso che sia questo il lavoro da fare, con le parole e con i sentimenti.