A proposito di Mario Draghi…

Che Draghi sia un ottimo banchiere non lo dico io, ma lo dice il suo CV.

La pagina Wikipedia a lui dedicata recita testualmente: “Formatosi all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha conseguito il Ph.D. in Scienze Economiche presso il Massachusetts Institute of Technology; in seguito, dal 1981 al 1991, è stato professore di economia all’Università di Firenze. Durante gli anni novanta è stato direttore generale del Ministero del tesoro. Dopo un breve passaggio alla Goldman Sachs, nel 2005 viene nominato Governatore della Banca d’Italia, divenendo così membro (e poi presidente) del Forum per la stabilità finanziaria (Consiglio per la stabilità finanziaria dal 2009) e del Consiglio Direttivo e del Consiglio Generale della Banca centrale europea, nonché membro del Consiglio di amministrazione della Banca dei regolamenti internazionali. È stato Direttore esecutivo per l’Italia della Banca Mondiale e nella Banca Asiatica di Sviluppo. È membro del Gruppo dei Trenta. Dal 2011 al 2019 ha ricoperto la carica di Presidente della Banca Centrale Europea.”

In particolare, la sua esperienza come Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) si è contraddistinta per la risolutezza e la competenza con cui la sua azione ha garantito la ripresa dell’Eurozona durante la crisi del debito sovrano europeo, in particolar modo con una politica di abbattimento dei tassi di interesse e con l’utilizzo crescente del quantitative easing.

Soprattutto per quanto riguarda il quantitative easing, Draghi ha indubbiamente dimostrato di avere doti finanziarie e politiche non indifferenti.

La crisi del debito sovrano europeo era avvenuta in seguito alla crisi finanziaria globale iniziata nel 2007 ed al contestuale aumento esponenziale del debito pubblico di alcuni Paesi europei che, quindi, avevano difficoltà a reperire ulteriori finanziamenti sul mercato internazionale. In buona sostanza, alcuni Stati europei (tra cui l’Italia) non riuscivano a vendere i propri titoli di Stato perché la fiducia internazionale degli investitori verso questi Paesi era pressoché nulla. A tal riguardo, bisogna specificare che la vendita dei titoli di Stato è il principale strumento attraverso il quale gli Stati riescono a reperire la liquidità necessaria per poter pagare le loro spese correnti.

Questa situazione aveva avuto notevoli risvolti sull’economia reale: non avendo gli Stati denaro da spendere, la quantità totale di moneta circolante si era ridotta sensibilmente. Le banche, così, non concedevano più credito (se non, nel caso, a tassi elevati) ed i prezzi di mercato dei beni continuavano a scendere a ritmi vertiginosi.

Le due principali conseguenze furono che le aziende non riuscivano più a trovare denaro da investire e, soprattutto, con ciò che guadagnavano non erano in grado nemmeno di coprire i costi di produzione. In pratica, era in atto la cosiddetta deflazione.

Con il quantitative easing la BCE si impegnò ad acquistare, ad un tasso di interesse praticamente nullo, i titoli di Stato di tutti i Paesi dell’Eurozona e, dunque, anche di quelli che non riuscivano a trovare acquirenti sul mercato internazionale con l’obiettivo di rifornire di liquidità tutti gli Stati.

In questo contesto, gli Stati che non stavano vivendo particolari difficoltà (Germania in primis) si opposero strenuamente al programma di quantitative easing proposto dall’allora Presidente della BCE. Ciò nonostante, Mario Draghi nel 2014, dopo un durissimo lavoro di concertazione tra i vari Governi europei, riuscì a farlo approvare comunque.

Il risultato fu che in Europa gli investimenti ritornarono a crescere ed i prezzi a salire. Ed insieme al loro aumento sparì la deflazione.

Quella di Draghi fu una vittoria totale. Vittoria ancora più importante per quei Paesi come l’Italia che, prima del 2014, erano stati travolti dalla crisi del debito sovrano. Molti ricorderanno le dimissioni di Berlusconi nel 2011, quando lo spread arrivò a 575 (il valore ottimale sarebbe 100; più lo spread è alto, dunque, più vuol dire che nessuno vuole acquistare i titoli di Stato del Paese).

Come banchiere, dunque, nulla da dire. Se avessi una banca, vorrei sicuramente un Mario Draghi alla sua guida.

Ma fare il politico è tutt’altra cosa. Non sempre chi eccelle in un abito è automaticamente destinato ad eccellere in qualsiasi altra situazione.

Quando Draghi è stato chiamato da Mattarella a sbrogliare la matassa imbrogliata da Renzi, l’Italia era un Paese che stava appena cominciando a risalire la china dopo l’epidemia di Covid-19, con la prospettiva importante di dover gestire i miliardi di euro che sarebbero arrivati da Bruxelles per il PNRR.

Ad onor del vero, bisogna ammettere che lo scenario politico in cui Draghi si è trovato a svolgere il suo ruolo non è stato affatto semplice. Al di là della gestione dell’accozzaglia politica che ha sostenuto il suo Governo – attività che gli ha portato via sicuramente più tempo del previsto – l’ex Presidente della BCE si è ritrovato a gestire molti provvedimenti “discutibili” tramandati dai Governi precedenti (Superbonus 110%, Reddito di Cittadinanza) e ad affrontare altre situazioni eccezionali, come la Guerra in Ucraina, che sono sopravvenute durante il suo mandato.

Tuttavia, ci saremmo sicuramente aspettati una maggior capacità da parte sua di aggiustare il tiro, soprattutto in ambito economico, e di non trovarci nelle condizioni in cui si trova oggi il Paese, con lo spread a oltre 200 punti e un’inflazione galoppante.

La strategia economica di Mario Draghi, tuttavia, era chiara sin dall’inizio: in un momento di crescita economica (come quello post-pandemia), l’indirizzo del Governo è stato quello di agevolare in tutti i modi le imprese nella convinzione liberista che agevolando chi produce redditività aumentano anche i benefici in termini di occupazione e, dunque, di benessere collettivo.

Il risultato è stato che le imprese, tra finanziamenti ed incentivi ricevuti (vedi il Superbonus 110%), si sono ritrovate inondate di liquidità. Tuttavia, seppure gli investimenti hanno ripreso a crescere ed i dati riguardanti l’occupazione sono migliorati, l’inflazione è schizzata alle stelle e le previsioni di crescita del Paese sono state periodicamente ritoccate al ribasso.

Il motivo è abbastanza semplice in realtà: non è possibile immaginare un vero miglioramento della situazione economica in un Paese in cui i salari sono fermi da 30 anni.

L’aspetto principale riguarda l’impatto dell’inflazione sui redditi delle  famiglie italiane: quando c’è tanto denaro in giro, il suo valore diminuisce (provate a fare lo stesso ragionamento per qualsiasi altro bene, il risultato sarà pressoché lo stesso); se gli stipendi delle famiglie rimangono sempre gli stessi, in momenti di inflazione il loro potere di acquisto sarà sensibilmente inferiore.

Inoltre, siccome in momenti di crescita economica le aziende (che hanno tanta disponibilità finanziaria) producono più beni e consumano tante materie prime, il prezzo di queste ultime aumenta anche per i consumatori finali. Spesso, in maniera incontrollata.

Le famiglie, dunque, in un momento in cui i prezzi aumentano, si ritrovano con la stessa quantità di denaro che avevano prima che, per giunta, vale molto meno di prima.

La cosa davvero grave è che le misure adottate dall’ultimo Governo hanno completamente tralasciato questo aspetto. In buona sostanza, il denaro immesso nell’economia italiana è finito sì nelle imprese le quali, però, non possono vendere in Italia ciò che producono perché sempre meno consumatori possono permettersi di acquistarlo.

A questa situazione, già di per sé tutt’altro che rosea, si aggiunge l’impatto economico del conflitto in Ucraina. Le sanzioni imposte anche dall’Italia alla Russia hanno privato le esportazioni italiane di 7 miliardi di euro di fatturato. Per non parlare del razionamento e dell’aumento del prezzo del gas (ovvero il 40% del fabbisogno energetico nazionale) che avrà effetti drammatici nell’immediato futuro sia per le imprese che, ancor più, per le famiglie.

Già a marzo 2022 i consumi al dettaglio sono calati dello 0,5% e le prospettive non sono confortanti. In pratica, in un momento di crescita economica, i consumi (che dovrebbero aumentare proporzionalmente) diminuiscono. Qualcosa, evidentemente, non va.

Insomma, l’approccio utilizzato dal Governo Draghi si sta rivelando un vero e proprio disastro dal punto di vista macroeconomico. L’impatto del conflitto in Ucraina, diventato il capro espiatorio perfetto per giustificare l’attuale situazione, in realtà è solo secondario in questo momento.

Decidere di utilizzare tutta la disponibilità economica del Paese per incentivare le imprese, dimenticandosi (involontariamente?) i lavoratori, ha comportato solo una ancora maggiore concentrazione della ricchezza nelle mani di chi già era ricco, senza alcun beneficio (anzi) per la maggioranza del Paese. Insomma, l’approccio che si sarebbe dovuto utilizzare era sostanzialmente diverso: insieme agli incentivi per le imprese, bisognava utilizzare una parte del denaro a disposizione per adeguare i salari (e quindi sostenere i consumi) e mettere un tetto ai prezzi dei beni di prima necessità. Sarebbe bastato leggere qualche libro di economia base per arrivare a questa conclusione.

In un momento di crescita economica si poteva e doveva fare meglio. Questo tipo di errori sarebbero stati ingiustificabili per qualsiasi Governo. Figuriamoci per quello “dei migliori” che era stato nominato proprio per non commetterli.


4 COMMENTI

  1. Mi permetto di dissentire dalle opinioni dell’estensore dell’articolo per vari motivi che mi pare complicato approfondire qui. Mi limito solo a citare alcuni punti. Intanto non mi pare condivisibile trattare Draghi come se fosse un meccanico che sa aggiustare le macchine e basta. Non si fa il banchiere centrale della BCE solo perchè si sa di finanza e di economia e Draghi per arrivare al famoso “whatever it takes” (con il quale ha salvato l’euro, l’Europa e , cosa non trascurabile, l’Italia) ha dovuto compiere vari passi di tipo politico tra diversi importanti oppositori. Nella disamina della sua azione politica poi si addebita a Draghi di non aver saputo contrastare lo spread e l’inflazione. Faccio presente che questi due fenomeni possono essere contrastati solo con gli strumenti di politica economica in possesso della Banca Centrale, peraltro con effetti di contrasto alla crescita economica dei singoli paesi. L’inflazione dipende soprattutto, in questo caso, non solo e non tanto dalla crescita troppo veloce della domanda, ma soprattutto dalla crisi dell’offerta, per la rottura delle catene logistiche mondiali, legate agli effetti del Covid e alla guerra. Peraltro i principali provvedimenti sbagliati, citati dall’articolo, sono proprio quel Superbonus 110% e quel reddito di cittadinanza, sostenuti pervicacemente da chi ora sta facendo cadere il governo (io ci aggiungerei almeno anche Quota 100, per non farci mancare niente). Draghi ha condotto in modo assolutamente efficace la campagna anti Covid e sta mettendo in sicurezza il PNRR, che, sarebbe bene ricordarlo, rischierebbe di saltare avventurandosi in una crisi politica adesso. La situazione precaria di dipendenza dal gas russo è stata creata dall’insipienza dei precedenti governo politici, tutti compresi (dx e sx) a partire da Berlusconi, cui ora si sta cercando di porre rimedio faticosamente. Nel DL Aiuti (e nei successivi provvedimenti già previsti) si mette mano al cuneo fiscale e a una forma di salario minimo. La cosa che inoltre sta facendo Draghi, per esempio, rispetto allo spread è quella di non accedere facilmente ad ulteriori scostamenti di bilancio (come propongono allegramente M5S e Lega, ad esempio), che serve proprio a non far crescere ulteriormente lo spread di cui sopra; ci lamentiamo dello spead, ma poi non ci rendiamo conto di non poter fare a debito qualsiasi cosa, senza gravare di debiti le future generazioni. M fermo qui; l’ho già fatta troppo lunga.

    • Sabino Napolitano in qualità di autore dell’articolo, intervengo per rispondere. Dal suo commento, mi sembra di comprendere che sull’analisi della situazione attuale siamo abbastanza d’accordo, per quanto con approcci diversi (che non discuto in quanto l’economia, come ben saprà, non è sola “matematica”).

      Mi permetto tuttavia di dissentire su due soli punti.
      In primis, è ormai tesi diffusa non è la sola politica monetaria (la BCE) a determinare l’aumento o meno dell’inflazione. Soprattutto per quanto riguarda la crisi della domanda che io continuo, convintamente, ad attribuire ai salari troppo bassi per sostenere una crescita. Tema sul quale il Governo è intervenuto ad oggi in maniera assai marginale.

      In secondo luogo (e lo dico da tecnico) sul PNRR siamo parecchio indietro, almeno per quanto riguarda la capacità di spesa degli Enti pubblici.
      E se il denaro del PNRR non viene speso, il programma è praticamente nullo.

      Infine vorrei sottolineare una sola sfumatura: Draghi è stato nominato in quanto tecnico (e dunque “meccanico”) per risolvere alcune questioni. Io mi limito a valutarlo in quanto tale.

  2. Credo che la qualità di Draghi, quella che ha indotto a suo tempo il presidente Mattarella a conferirgli l’incarico di formare un governo, vada ricercata nella qualità morale dell’uomo più che nella sua mera abilità tecnica. Tale qualità è all’origine della stima sincera che Draghi sta raccogliendo in Italia e nel mondo. Lo testimoniano gli accorati appelli che salgono dalle parti più diverse della società italiana e da svariati paesi a rimanere alla guida del governo italiano.
    Tuttavia egli è solo, forte solo delle sue capacità di mediazione, di alto livello, ma per esempio non può agire efficacemente contro l’evasione fiscale oppure non può istituire un prelievo fiscale proporzionato al reddito.
    Il dissesto etico dell’Italia è solo in parte al centro della sua azione, ma può essere al centro della coscienza di ognuno di noi, nonchè essere la nostra speranza.
    Nel rinnovamento eticobc’è la base reale del consenso per rinnovare l’Italia.

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