Una vita di fede e giustizia

Il magistrato Rosario Livatino, giurista, cattolico, amante della giustizia anche a costo di grandissimi sacrifici personali, nonché amante e cultore vivido della giustizia anche a costo della propria vita, merita d’esser ricordato spesso, più di quanto faccia la società civile d’oggi.

Livatino il 30 aprile 1986 a Canicattì, nel salone delle Suore vocazioniste, ha tenuto una conferenza sul rapporto tra fede e diritto. È inutile ricordare che nella propria vita civile ha sempre avuto la schiena dritta non soltanto come magistrato, ma anche come cristiano e cattolico impegnato, fuori da ogni retorica facile, fuori da ogni schematismo della politica di quei tempi.

Sicuramente figlio del suo tempo, il magistrato Livatino ha interpretato il rapporto tra fede e diritto in modalità peculiari, lontane dai radicalismi teocratici e lontano dai radicalismi laicisti.

Ognuno può avere una propria visione sui rapporti tra fede e diritto. Sicuramente è opportuno preliminarmente sottolineare, in generale, che il diritto della contemporaneità costituzionalizzata e costituzionalizzante tutela le individualità nelle proprie libere adesioni fideistiche, o nelle proprie libere scelte di astensione dalla fede, così come nelle libere manifestazioni filosofiche tutte, di ogni tipo, entro i limiti del rispetto verso l’ordine pubblico e verso il mobile buon costume.

Fatta questa premessa doverosa per dare cognizione di qual è il rapporto tra il diritto e le fedi o le idee in generale, non possiamo omettere di ricordare l’originalità delle posizioni sposate e sostenute da Rosario Livatino, martire nel suo lavoro per la giustizia.

Durante l’anzidetta conferenza del 30 aprile 1986, Livatino ha sostenuto che contrapporre i concetti, le realtà, le entità della fede e del diritto può dare   prima   facie   l’impressione di una antinomia inconciliabile, in quanto l’una è espressione delle intimità dell’animo umano, l’altro invece è il frutto – “il più squisito”, sottolineava – della razionalità, della riflessione, della “gelida ed impersonale elaborazione tecnica”.

Ha poi rilevato come l’idea dell’antinomia tra fede e diritto pareva trovare eco, sempre ad un primissimo esame superficiale, nel tenore letterale dell’articolo 1 del nuovo Concordato tra Stato e Chiesa petrina, in cui si poteva leggere che “La Repubblica Italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

Il magistrato in sede di conferenza ha quindi sostenuto quanto segue: “Così invece non è: quella che abbiamo definito come prima impressione è una errata impressione perché, alla prova dei fatti, queste due realtà sono continuamente interdipendenti fra loro, sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile”.

Livatino al termine della conferenza ha osservato che Cristo non ha mai detto che bisogna essere soprattutto giusti, ma che invece in molteplici occasioni Gesù ha esaltato la virtù della giustizia. Il magistrato ha poi evidenziato come Gesù avesse elevato il comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta, “perché è proprio questo salto di qualità che connota il cristiano”. Ha quindi aggiunto che “Basta pensare per tutte alla parabola della vigna che, fra gli altri significati, consente di evidenziarne uno modernissimo: il datore di lavoro, una volta assolto l’obbligo di giustizia di pagare ad ogni dipendente quanto gli spetta (oggi diremmo: in osservanza dei contratti collettivi), è ben libero di dare di più (…), ma ha per giunta il   dovere   di farlo ove la valutazione della persona del dipendente, delle circostanze nelle quali egli ha lavorato, del prodotto del lavoro, delle proprie condizioni personali in rapporto al ricavo e via dicendo, stimolino la sua sensibilità e la sua coscienza verso questo ulteriore momento che, solo assai riduttivamente, potremo chiamare di giustizia sociale o di solidarietà umana”.

Ognuno su queste tematiche delicate – ovviamente! – è libero di pensar ciò che vuole. Ricordiamo però che Rosario Livatino nella sua vita ha dato la vita, per la giustizia, contro una bestiale forma di criminalità. Le sue parole non erano cristiane-in-astratto, bensì cristiane-in-concreto, fino al sacrificio. Nella lotta per lo Stato di diritto quale spazio di giustizia contro le criminalità organizzate, Rosario ha saputo tenere una fede alta, pura, profonda, e nella sua giovane esistenza ha saputo fattivamente coniugare quella fede e quel diritto di cui amava parlare. Onore a Livatino.


Articolo precedenteLa rinascita socio-economica andriese
Articolo successivoLa tua cura continuerà ad accompagnarci
Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.