Intervista al Presidente dell’ANPAL Domenico Parisi
Nell’Auditorium del Liceo Scientifico “Ludovico Pepe” di Ostuni, lo scorso 15 febbraio, si è organizzato un dibattito sul tema: “Reddito della cittadinanza, un anno dopo”.
Presenti l’onorevole Valentina Palmisano ed esperti che lavorano in questo campo in vari livelli di rappresentanza, per un bilancio degli obbiettivi preposti e degli ultimi risultati conseguiti dall’ agenzia a livello locale e nazionale.
Ospite d’eccezione il Presidente dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), Domenico Parisi, un italiano originario di Ostuni che è tornato a lavorare in Italia dopo 30 anni di carriera negli USA.
Rivolgo il microfono per conto del Odysseo ad uno dei viaggiatori eccezionali della nostra città: presidente Parisi, come si sente ad Ostuni?
Ad Ostuni mi sento accolto, amato, quindi mi sento sicuro.
Sono un albanese che risiede ad Ostuni da 30 anni, sono un immigrato, e immagino anche il vostro percorso: cosa ha da dire per quanto riguarda il venire da fuori e cambiare le abitudini del posto?
Rispondo anch’io da immigrato negli Stati Uniti, esperienza di cui sono molto orgoglioso. Posso dire peraltro che tra i navigator c’è anche un albanese che ha acquisito la cittadinanza italiana. Ritengo che il primo passo per un paese civile sia riconoscere che gli migranti sono una ricchezza; il secondo passo è dar loro il senso dell’appartenenza, quindi la cittadinanza, un percorso di cittadinanza. Senza di questo non si può valorizzare quello che un immigrato può portare in un altro paese, ed io sono pienamente dell’idea che non si debba parlare proprio di “immigrato”; si deve parlare di “globus cityzens”, cittadini del mondo. Queste barriere geopolitiche devono riconoscere che non ci sono colori o frontiere, ma ci sono persone che si muovono per dare a sé stesse una dignità, ma anche una ricchezza là dove vanno, quindi è il percorso della cittadinanza che può fare veramente la differenza.
Parliamo allora di inclusione, delle le culture degli immigrati: solo ad Ostuni, oggi, sono rappresentate 60 nazioni diverse, sono persone che vivono realmente. Qual è il lato positivo di una realtà simile, anche se in questi tempi vengono malvisti e qualcuno vorrebbe persino alzare dei muri?
Anzitutto, il fatto che tu mi dica che ci sono sessanta nazioni diverse ad Ostuni mi induce ad una risposta immediata: che la diversità è la ricchezza più importante in un paese moderno, non riconoscere la diversità che sia di tipo di genere, di orientamenti politici, o qualunque essa sia, comporta una grave perdita. La diversità porta una ricchezza che ispira l’innovazione, le nuove idee, quindi non riconoscere la diversità è come andare contro l’idea di potersi innovare come persone.
Gli anziani: come si dovrebbe raccogliere la loro esperienza? Come far sì che diventi una base a fianco dei nuovi investimenti esterni, per rinnovare il modo di produrre?
Per l’esperienza degli anziani è un po’ come per la lezione della storia: come si può pensare di costruire un futuro se non si parte da una storia? Grazie alla storia, si può imparare dai propri errori, capire come non ripetere errori in un futuro, magari trovare quegli spazi che poi possono aiutare a crescere. Quindi la stessa cosa avviene con gli anziani, che io non chiamerei “anziani”, ma persone mature che hanno raggiunto l’età della pensione. C’è molto da recuperare. Gli anziani portano ricchezza, gli anziani sono una diversità, bisogna riconoscere la diversità tra gruppi demografici di età diverse, si parla di generazioni, ex generazione millenium, ma ci si dimentica che esistono queste diversità demografiche. Vale sempre lo stesso concetto: la diversità porta ricchezza.
Gli anziani ci danno la base ferma di appartenenza?
Gli anziani! Anzitutto non danno soltanto la base quando appunto ci danno una connessione con il nostro passato. Un’identità, se persa, non ha valore. Quindi chi ha più anni di noi, in qualche modo, ci aiuta a costruire una identità più ferma, questa sì.