La sentenza dell’Alta Corte del Regno e gli scenari possibili in attesa della decisione della Corte Suprema britannica

“Per dirvi in breve la mia opinione se mi chiedete se la democrazia abbia un avvenire e quale sia, posto che l’abbia, vi rispondo tranquillamente che non lo so”. Così scriveva Norberto Bobbio ne “Il futuro della democrazia”, uno dei suoi saggi più importanti. Queste parole possono essere applicate agli ultimi sviluppi sulla Brexit, il processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, uno dei temi politici più caldi dell’anno.

Il 3 novembre scorso l’Alta Corte del Regno Unito ha emesso un’importante sentenza. Lo Stato non può abbandonare la UE sulla scia del referendum del 23 giugno 2016(in cui i pro- fuoriuscita prevalsero col 51.9%) senza l’approvazione del Parlamento nazionale. Il governo della conservatrice Theresa May ha già proposto ricorso alla Corte Suprema, la massima istanza giurisdizionale del Regno, che dovrebbe pronunciarsi verso l’8 dicembre.

La decisione della Corte Suprema non è prevedibile. Essa potrebbe dare torto all’Alta Corte: se così fosse tutto tornerebbe a com’era prima del 3 novembre. Se però l’opinione di inizio mese venisse confermata allora Sua Maestà potrebbe salutare Bruxelles solo col parere favorevole delle Camere. May difficilmente riuscirebbe ad attivare la procedura prevista dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (che regola l’abbandono della UE da parte di uno Stato) entro marzo, come da lei prefigurato.

Il Parlamento in teoria potrebbe persino ribaltare il volere del popolo e opporsi alla Brexit: il referendum di giugno aveva valore consultivo e non legale. Il suo risultato ha però un’enorme valenza politica, che diventa quasi vincolante: rinnegarla del tutto potrebbe scatenare una grave crisi nei rapporti elettorato-istituzioni. Al 22 giugno 2016, dei 650 membri della Camera dei Comuni ben 479 avevano dichiarato di sostenere il Remain. In particolare, dei 331 esponenti del Partito Conservatore alla Camera bassa 185 parteggiavano per rimanere nella UE, e 138 per lasciarla. Nel Partito Laburista invece ben 218 dei 232 rappresentanti non avrebbero abbandonato la UE, solo 10 l’avrebbero fatto. Molti dei Remainers sono però stati eletti in collegi in cui ha vinto il “Leave”, e disattendendo le indicazioni dei propri mandatari rischierebbero di non essere rieletti.

I membri della Camera dei Lords non correrebbero questo pericolo. Un organo non eletto potrebbe bloccare l’esito della decisione referendaria? Si andrebbe incontro al collasso politico. La Leader dei Laburisti ai Lords, baronessa Angela Smith, ha assicurato che la sua fazione non bloccherà la Brexit. Ma ha aggiunto:”Scrutineremo, esamineremo, dobbiamo essere responsabili in questo”. Lo scorso primo agosto invece, molto prima della sentenza citata, la conservatrice ai Lords baronessa Patience Wheatcroft ha affermato:”Non dobbiamo assolutamente attivare l’articolo 50. Credo che i Lords possano cancellare le cose. Penso che la maggioranza di loro sia per il Remain”.

La May sembra decisa a far rispettare il risultato del referendum. In una lettera del 6 novembre sul Telegraph ha scritto:”Interferire col volere del popolo non è nell’interesse del Paese. Dobbiamo mantenere il nostro piano e la nostra agenda, sviluppare la nostra strategia negoziale e non mettere tutte le nostre carte sul tavolo”. In più:”Il popolo ha scelto in modo definitivo. È responsabilità del Governo portare avanti quanto emerso dalla decisione popolare e realizzarlo completamente”.

È più probabile che l’opposizione cerchi di influenzare il Governo nelle trattative con i vertici della UE. Il 5 novembre, intervistato dal Sunday Mirror, il leader dei Laburisti Jeremy Corbyn ha dichiarato:”Siamo in democrazia e il Governo è responsabile di fronte al Parlamento”. Egli non si opporrà all’attivazione dell’articolo 50 a patto che la May rispetti le “linee guida sulla Brexit” dei Laburisti, riassumibili come segue. Il Regno Unito dovrà restare all’interno del mercato unico; i diritti dei lavoratori allo stato attuale protetti dalle leggi europee non dovranno essere scalfiti; come anche le garanzie della UE sui diritti dei consumatori e sull’ambiente; infine il governo britannico dovrà pagare di tasca propria ogni investimento UE che andrà perduto. Si realizzerebbe così una “soft Brexit”, un addio meno doloroso.

Le opposizioni potrebbero sfruttare le indecisioni della May sul tipo di Brexit da realizzare. Il 2 ottobre l’Indipendent titola:”Theresa May indica l’hard Brexit”. Dieci giorni dopo New Statesman, importante rivista politica britannica, afferma:”La hard Brexit della May sarà più soft del previsto”. Per Il Post la May tenterà la via della “mild Brexit”, una Brexit moderata. Il Primo Ministro ha smentito le voci di nuove elezioni per rafforzare la sua posizione. I sondaggi la danno in vantaggio ma la consultazione diverrebbe di fatto un nuovo rischioso referendum: cosa accadrebbe se vincessero i Remainers?

La sensazione è che il 22 giugno scorso abbiamo assistito solo all’inizio di una lunga telenovela: in attesa della prossima puntata.