
La quaresima per secoli è stata un periodo forte di grande riflessione, non solo intorno ai problemi della fede, ma soprattutto intorno ai temi della vita; questa non è una prerogativa dei soli credenti, ma di tutti gli esseri umani, per evitare di delegare ad altri le funzioni del nostro pensare libero.
La vita, con i suoi affanni e preoccupazioni, spesso ci riserva pochissimo tempo da dedicare a noi stessi e al recupero di una profonda interiorità: ambito prezioso dove risiede quella dimensione contemplativa della vita stessa, che costituisce la grande forza del nostro corretto relazionandoci con gli altri e con il mondo.
Qui la Parola, quale strumento di rappresentazione della realtà e veicolo per la costruzione di una fraternità, viene spesso tradita da un verbalismo stridente tra etica praticata ed etica declamata: una Parola piegata a interessi che nulla hanno di nobile o di religiosa proposta. Chi però tutto abbraccia, e coraggiosamente continua a credere e ad alimentare tenacemente la fiamma della speranza, troverà anche ragioni per vivere.
La quaresima è iniziata con l’imposizione delle ceneri e la vecchia e celebre formula “Ricordati che sei polvere e che in polvere ritornerai”, ormai caduta in disuso, ma che desta una serie di considerazioni.
A un ascolto superficiale, sostiene Eugen Drewermann, questa citazione suona quasi cinica e crudele; l’essere umano non vale niente, è inutile, insignificante, non necessario del benché minimo riguardo: “una cosa” che può essere messa sotto i piedi, che può essere manipolata secondo obiettivi e intenzioni opportunistici. Basta intimorirla a puntino ed ecco che se ne può fare tutto quello che si vuole.
Ma non è forse la sensazione della nostra inferiorità ciò che ci costringe sempre ad affaccendarci per dimostrare più di quanto siamo in grado di essere veramente? “Non sei che polvere”: ecco che ci precipitiamo disperati nella vita per dimostrare a noi e agli altri che non siamo fango.
Nel vortice delle eccessive pretese che abbiamo verso noi stessi, diventiamo sempre più veloci, sempre più braccati, sempre più stressati… Oggi pensiamo di farcela, ma domani? Il nostro interlocutore, colui che ci sta accanto, anch’egli è fatto di polvere, anche lui costringiamo alla stessa lotta competitiva, nello stesso inesorabile meccanismo del confronto. Chi sarà il migliore? Forse chi riesce a rinnegare in modo disumano la propria natura di polvere?
Continuando così, prima o poi, soggiunge Drewermann, accadrà che non avvertiremo più la terra sotto i piedi e la nostra vita diventerà uno sconfinato caos. L’unica cosa che può salvarci è ammettere la nostra pochezza davanti a noi e agli altri. Forse vivremo con più misericordia: l’altro ci apparirà meno minaccioso e noi più umani.
Ma proprio perché non siamo che soltanto polvere, potremmo implorare da Dio che non ci giudichi severamente: non metta sui piatti della bilancia gli errori che commettiamo ogni santo giorno, perché noi non siamo che polvere. Signore, tu lo sai di che cosa ci hai fatto.