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Il dibattito sulle fake news è più vivo che mai. Sembra che si sia instaurato un sovrano disprezzo nei confronti delle buone notizie, quasi che a raccontarle ci si rovini la reputazione.

Occorreva che qualche personaggio di grido venisse colpito, o che un Papa ne parlasse, per accorgersi che le fake news, vale a dire le notizie fabbricate ad arte, siano fenomeni preoccupanti della comunicazione contemporanea. Anzi costituiscono un grave pericolo sociale, e l’assenza di rispetto per l’altro ci proietta in una cornice di civiltà disastrosa. Sembra che si sia instaurato un sovrano disprezzo nei confronti delle buone notizie, quasi che a raccontarle ci si rovini la reputazione.

Alla base di questo fenomeno c’è  la credibilità degli organi di informazione minata dalle fondamenta. Per questo vari autori distinguono fra mis-informationdis-information e mal-information. La «misinformazione» si ha quando un’informazione falsa viene veicolata in rete senza dolo, ma solo per leggerezza, per un’errata comprensione dei fatti o delle dinamiche in atto. Poi vi è la «disinformazione», che invece include dolo da parte di chi la produce e/o di chi la diffonde. Infine, la «malinformazione» si ha quando vengono diffuse delle notizie vere, ma per far male, per creare dissapori e mettere zizzania.

Va ricordato ancora che il termine fake news comprende non solo fatti falsi, ma anche le correlazioni errate, non basate su prove sufficienti. Siamo davanti a un inquinamento dell’informazione che ha costretto la Commissione Europea a scendere in campo, nominando 39 esperti del mondo dell’informazione per un gruppo di lavoro su notizie false e disinformazione online.

Oggi le notizie false sono il capro espiatorio di qualsiasi risultato elettorale che non soddisfi le aspettative di analisti politici ed editori di giornali. Come è possibile che questa narrazione fallace, priva di prove e separata dai fatti, abbia guadagnato tanta rilevanza nel dibattito pubblico mondiale? Probabilmente per gli stessi motivi che determinano il successo delle bufale: offre una spiegazione semplicistica a un problema complesso e si presta a essere un’efficace strumento di propaganda.

Si reputa che sia saltata l’applicazione dei principi morali della società e, contestualmente ci si è imbarcati in una selva di leggi, come se le leggi possano sostituire i principi. Credo che oggi domini la cultura del nemico: la superficialità porta la propria identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica perché si va alle pulsioni. Tutto questo è favorito da aggregazioni che sostengono il linguaggio dell’odio, rischiando di caricarsi di intolleranza, di aggressività, di inimicizia, di esclusione e di ri­fiuto.

Qui prolificano le fake news come uno degli elementi che avvelenano le relazioni perché hanno una fisionomia mimetica grazie a veri e propri impostori, che fabbricano contenuti appositamente falsi per screditare taluno o talaltro. Purtroppo esistono anche testate riconosciute ai sensi di legge che, per opportunismo o motivi ideologici, manipolano l’informazione tentando di orientare l’opinione pubblica in un senso piuttosto che nell’altro come il caso Boffo.

Come bloccare questo “vampirismo nascosto”, se finanche le smentite degli organi di stampa spesso non riescono a mettere in crisi le false notizie in circolazione?

Attenzione, però, a diffidare di tutto e di tutti. Sarebbe un rimedio peggiore del male. Sarebbe la morte di ogni nostra relazione, che si basa appunto su un’apertura di fiducia. Occorre urgentemente riportare al centro del dibattito la responsabilità della comunicazione, perché sia luogo di ascolto, di dialogo e persino di dissenso, sebbene nelle forme della normale dialettica dell’interazione. La cultura poi dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare certi istinti.

Il problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e contribuisce fortemente nel controllo delle pulsioni non c’è più?  Bisogna cominciare a dire che le nostre comunità devono cercare di far emergere donne e uomini saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è una ignoranza spaventosa.  Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili! Che ne direste di richiamare in servizio il vecchio Diogene di Sinope, fargli riesumare la sua vecchia lanterna e invitarlo alla ricerca nelle strade buie e malfamate del nostro mondo?