
Speranze (provvisorie) sul governo Draghi
Governo Draghi: bell’ingegnata squadra di governo. In un equilibrio tra il peritismo tecnico-economico e il politico dei tempi che corrono, l’Italia e l’Europa si aspettano la ricetta istituzionale competente nonché coraggiosa per strutturare la crescita del futuro italiano.
Preziosissima la Cartabia al ministero della Giustizia, la prima donna presidente della Corte costituzionale ha già più volte dimostrato il suo volto sensibile al progresso nel diritto. Un atto dovuto il mantenimento di Di Maio agli Esteri? Occorreva attribuire ai Cinque Stelle dei ministeri per rispettare la democrazia espressa attraverso il voto del 2018, occorreva però garantire al governo impermeabilità rispetto a quei politici pentastellati che fanno ancora l’occhiolino alle piazze telematiche dell’antipolitica. Di Maio così è apparso il più malleabile: è il moderato già collaudato nei salti tra Lega e PD, prevedibile nel suo voler restare a galla all’interno del moderatismo richiesto dal Palazzo. Sicuramente con qualche mal di pancia iniziale, Draghi lo avrà visto come il non-Dibba, e quindi come un elemento che può reggere il nuovo stile del centralismo politico quale tecnica della politica.
In questo ri-politica del politicantesimo, se non sarà impossibile programmare ricette economiche e finanziarie all’altezza delle sfide e dei soldi in circolazione, non sarà ovviamente facile cucinare i migliori piatti per tutti, dati i disavanzi socio-economici ed esistenziali che galleggiano nell’incertezza generale della micro-èra Covid.
La svolta transatlantica draghiana, con Biden simbolo mite ma significativo della democrazia liberale statunitense; la sperata transizione ecologica che non significa una transustanziazione della politica italiana in un Sole-Che-Ride radical-green; la competenza culturale e la sensibilità giuridica negli affari della giustizia; la scelta di punzecchiare il grande potenziale del Sud con gli investimenti di crescita ed efficientamento, e non con un desolante assistenzialismo pan-pauperistico: questi stimoli che tra le righe ci lancia il neo-governo Draghi sono alcuni degli orizzonti che ci consentono, oggi, almeno di sperare per il Belpaese del domani.
L’Italia vuol tornare ad essere un cavallerizzo Stivale geo-antropolitico, senza continuare ad esser vista come un piede scalzo nel Mediterraneo.
L’Italia non ha bisogno di innescare meccanismi altoborghesizzanti in stile anni ’80, come pure è stato scritto in un articolo (“Dove osano le elite”) pubblicato su Il Foglio di sabato e domenica scorsi. Malgrado siano appassionanti le osservazioni stilistico-esistenziali dell’èra del grande avvocato imprenditore Agnelli, sognare di poter rivedere quello stile lì, o un suo rinascente surrogato, non apporta un effettivo progresso nel divenire dialettico dell’umanità politica e – conseguentemente – istituzionale. Gli italiani self-made-men-and-women, che si fanno da soli, infatti, non hanno bisogno di entrare o rientrare in meccanismi poco catartici di nemesi socioculturale altoborghese, timbrati in stile d’alto cash egoistico. L’Italia ha bisogno invece di ritrovare una nuova èra di se stessa, attraverso meccanismi economici e legali che sappiano incentivare nonché rassicurare le tante individualità cittadine vaganti in questo mondo digitalglobalizzato.
In questo mondo, così com’esso è nelle sue vocazioni necessitate, al posto della classe conta la ricchezza culturale della sostanza. E nel mondo che potrà venire anche i plurali saperi dei meno fortunati devono fare la differenza, senza essere relegati a vivere in bolle marginali dove al massimo è concesso solo sognare.
Nel gelo che sta correndo per l’Italia in questa settimana è bello riscoprire il calore del sole, che illumina i limiti dell’indecisionismo politico degli scorsi mesi, che fa luce sulle inefficienze retoriche dei bullismi politicanti nel loro autoriciclaggio su ogni strettoia di Damasco, come colla incapace a solidificarsi tra una corsa istituzionale e un’altra.
Lontani dal perbenismo dell’ideologia conservatrice restìa ad ogni cambiamento tecnicamente escogitato; lontani dall’indecifrabile radicalismo di ogni tipo che perde tempo ad escogitare un sempre nuovo politicamente scorretto di maniera senza mai sintetizzare in un programma il Paese reale; lontani pure dalle innaturali distorsioni del politicamente corretto su cui le tiepide sinistre prendono tempo per perderlo: gli italiani vogliono vedere le opere pubbliche, gli autobus che non si incendiano a Roma e a Bari, le spiagge con le concessioni balneari che non diventano privilegio dei già concessionari, il mare veramente bene comune, le scuole senza la pioggia che entra dal soffitto dei bagni, gli ospedali pubblici con una sanità veloce che non diventi mai un appannaggio di pochi. E ancora, sistemi di monitoraggio e prevenzione della corruzione nei concorsi pubblici, libertà di fare impresa per tutti, mondi accademici dove le cattedre ritenute più chic non si ricevono grazie alle telefonate di famiglia, cittadinanze non discriminanti e diritti umani assicurati a chi fugge da tragedie sociali. Gli italiani auspicano un mondo italo-mediterraneo che sia valorizzato nella sua necessaria protezione securitaria senza mai rinunciare ad essere ponte aperto di civiltà; gli italiani vogliono un Paese dotato di sistemi elastici capaci di adattare le strutture e le infrastrutture al cambiamento che deve venire.
Chi anche soltanto per un paio di punti importanti spera nel governo Draghi non è un illuso, e neppure un seguace del politicamente corretto per via dell’europeismo e della componente tecnica; non è neppure un politicamente scorretto di maniera perché accetta Lega, PD e Cinque Stelle insieme. Non è nemmeno un radical-correct del centro super-europeista boniniano e calendiano, dato che proprio Più Europa e Azione – come ha rilevato Scanzi da Lilli Gruber a Otto e Mezzo – non sono partiti usciti vincitori, per la mancanza di loro posti ministeriali d’apice.
È sicuramente tempo di vedere la fase governativa Draghi come un’opportunità, durante la quale rinsaldare i modelli di cittadinanza proattiva e culturalmente progressista, individualista e comunitaria al contempo in un giusto equilibrio. Allora al politically correct e alle stanche favelle del politicamente scorretto che suonano molto fine anni ’90, scopriamo insieme questo strano divenire sociale dopo il Covid. Diversi nelle scelte professionali e negli stili di vita, uniti in un progetto di progresso comune che investa sulle libertà della persona senza lasciare indietro chi cammina più lentamente, ci attende un qualcosa di divergente, più moderato del radicalismo e più radicato e pluridentitario del trasformismo. Quest’ultimo ha già abbastanza lucrato sulle infungibilità politiche, disattendendo le speranze di milioni di italiani.
Più leggera dell’indecisionismo atrofizzato delle sinistre reali, più profonda del semplicismo sub-conservatore delle destre reali del 2020: ci aspetta l’èra del Politically Queer, oltre il giovane 2021 di ulteriori resilienze? Non speriamo costruzioni; costruiamo speranze sensibili, con le competenze.
[…] -“Politically Queer: oltre il manierismo politico di scorretti e corretti. Speranze (provvisorie) sul governo Draghi”, pubblicato il 17.02.2021 su ‘Odysseo’. Il link ad oggi è: https://www.odysseo.it/politically-queer-oltre-il-manierismo-politico-di-scorretti-e-corretti/ […]