
«Sei forte lo so ma anche stanca
e portati il mare da casa
la vita è questione di danza»
(Gio Evan)
Ho vissuto una settimana elettrizzante, quella del Dantedì, che mi ha portato come una trottola su e giù per la Puglia: Noci, Molfetta, Manfredonia, Taranto. Ben sei incontri in cinque giorni, per raccontare della fascinosa attualità di Dante, a cui si sono aggiunti un pomeriggio di formazione per docenti del CPIA di Taranto e un evento nella mia scuola, ad Andria, per parlare di antiracket e antiusura.
Quando vivo esperienze simili, sono sempre esaltato, divorato, consumato, estasiato, gratificato ed altre mille cose insieme. Mi sento vivo, amante, Amato. La gratitudine è il sentimento prevalente.
Peraltro, viaggiando per ore e ore in solitudine, ho modo di attraversare il silenzio, di riflettere su me e sul mondo, di ascoltare buona musica.
Di me ho già scritto tante volte. Il “mondo” mi porterebbe a commentare le dichiarazioni di Musk contro l’empatia o articoli allucinanti sull’inarrestabile avvento dell’Intelligenza Artificiale.
Scelgo di intrattenerti sulla buona musica.
Ieri, ad esempio, sono tornato ad ascoltare Gio Evan, un autore indie che si fa apprezzare per i suoi testi che assemblano con raffinata sensibilità musica, poesia e prosa. Mi sono così imbattuto in “Susy”, una canzone che è una celebrazione della forza interiore, un inno alla potenza di un cuore che si spreca e non fa conti.
Vi si sente la voce di una madre che raccomanda alla figlia di «non diventare mai le ferite che ti fanno», di non dimenticare che «se un cuore dà tanto, allora è un cuore salvo», che «non sempre resistere è essere forti».
I consigli si moltiplicano: come quelli di viaggiare e conoscere sé stessi, di prendere la strada più dura quando abbiamo bisogno di stare da soli, di sostare «a un soffio dall’alba», di reggerci sempre al cuore con forza, perché non tutto l’amore è una farsa.
Sorrido: e torno a pensare alla “maschera” della faccia di Musk, questo folle e cieco dominatore che ritiene l’empatia una forma di debolezza per sottospecie destinate all’estinzione. Andatelo a spiegare, a Elon, che «un cuore in mille pezzi diventa mille cuori», che più lo spezzi e più si moltiplica, più lo dividi e più diventa capace di condividere. Non capirà e, se capirà, rifiuterà: del resto lui ha una “tesla artificiale”.
Venerdì scorso, dopo quasi due ore di formazione per partecipare la visione di una “scuola fatta a scuola”, una docente ha esordito dicendomi: «Dopo tutto questo romanticismo, posso farle una domanda pratica?». L’avrei interrotta subito chiedendole a mia volta: «E io posso chiederle cosa ha capito delle mie parole se mi fa una premessa simile?».
Non gliel’ho detto. Ho taciuto. Ho ascoltato la sua domanda “pratica”, ho provato a dare una risposta “tecnica”.
Oggi, rubando ancora le parole alla “Susy” di Gio Evan, risponderei a lei come a me stesso: «Non rimpiangere mai il fatto di essere diversa, son queste cicatrici a renderti perfetta».
Non so cosa capirebbe, avrei bisogno di tornare a parlarci. Ma sono certo che tu, caro lettore, adorata lettrice, mi capiresti.
Così come sono certo accoglieresti quest’ultimo consiglio: «Il cuore non è mica il sale, mettine più di quanto basta».
Per il resto: «Ricorda che sogni e ragù non sono per niente affatto diversi, entrambi cuociono lenti a fiamma accesa tutta la notte».
Sai, caro Elon, anche tu, come me, sei di passaggio in questo mondo. Il ragù invece resta. E cuoce a fuoco lento, sub specie aeternitatis.