Spunti di riflessione sulla scia del pensiero di Lorenzo Ornaghi, politologo

Nella situazione attuale, vi è un desiderio sfrenato di modificare l’ordine, a costo di rimetterci la faccia e il titolo, pur di rivedere attuata la condizione sperata dalla Chiesa senza la quale la speranza stessa è messa a rischio.

L’ostacolo da superare, senza andare incontro a supplementi irrazionali, quali possono essere i debiti religiosi, causati dal modo improprio, poco ortodosso, di sviluppare le idee a favore di un credo tollerante e liberale come quello della fede cattolica.

Il relazionarsi con il miscredente senza creare in lui un’altra confusione a quella da lui posseduta, formatesi dalla condizione di vita menata da agnostico e incredulo nei confronti del vangelo, mezzo di speranza e di luce, è assai importante. Il tatto delicato della parola è il mezzo di comunicazione più consono per accostare le due realtà, fede-miscredenza e renderle armoniche con l’inserimento della speranza che nulla toglie, ma che intanto apre verso mete, nascoste al miscredente ma piene di serenità per lui, anche se inconsciamente, ambite.

Mettersi a confronto con realtà diverse è un compito di per sé arduo, ma non sgradevole dal punto di vista della relazione, dell’aggancio per rapportarsi nel dialogo e armonizzare le proprie idee con quelle dell’interlocutore.

Se la sintesi di ogni rapporto umano si riducesse al panico di una sicura sconfitta ideologica, sia di una parte e sia dell’altra, non vi sarebbero motivi validi, nemmeno quelli di fede, per invogliare le parti a intraprendere discussioni, scambi di vedute, confronti e dibattiti atti ad ampliare gli orizzonti personali, a volte racchiusi in grandezze discutibili, misurabili e contenute.

Gli interventi mirati e non, anche quelli scaturiti dalla breve occasione che la vita ci dà, non vanno indicizzati al flusso d’apatie e nevrosi latenti nell’uomo, ma al desiderio in lui insito di veder migliorata la sua condizione intellettiva, liberata rispetto al condizionato soffocamento che il benessere gli impone.

L’accidia, il disorientamento, l’apatia religiosa, quella sentita ma non praticata, è lo sconvolgimento esistenziale dell’uomo: è il chicco di caffè nel macinino, pronto a sgretolarsi. Il sistema non offre scelte poiché anch’esso è sempre in fase di frantumazione, dal momento in cui pure le idee lo sono, nell’ambito politico e si scontrano col muro della temerarietà, orientata quest’ultima, verso l’impossibile approdo salvifico.

Dopo la Scuola di Federico II, in Sicilia, e poi quella Toscana con Dante, Petrarca, Boccaccio e tanti altri letterati, della cultura han mantenuto il ritmo e l’etica fino a quando non ha prevalso su di esse la politica dei nuovi ideali: quelli che, con l’andar del tempo, si sono rivelati come i famelici pasti dei falsi e corrotti digiunatori.

Oggi la Cultura, se non è morta, è in fase d’ansimo: respira a fatica e si nota attraverso i mezzi d’informazione che non smettono di recitare la farsa sottoponendola a noi, squisiti allocchi, come cultura d’avanguardia. Si sa che ognuno ha quel che si merita, ma a mio avviso sono sempre i pochi quelli che coinvolgono i più, facendo la pantomima d’Arlecchino con più padroni.

Le minoranze hanno fatto cerchio chiuso, negli Atenei, negli Istituti e nei cosiddetti Circoli Culturali, facendoli sembrare più come logge massoniche, piuttosto che siti dove si discutono argomenti letterari.

Il cattolico interessato a inserirsi in un qualsiasi gruppo di studio, a volte deve munirsi, oltre di ferrea volontà, pure di un carapace resistente, al solo scopo di attutire sulla propria pelle, quella che potrà rivelarsi l’aggressività culturale di quei pochi che, in possesso di un titolo, vorranno dimostrare che quegli uomini riformati al servizio leva per via dei piedi piatti, sono palmipedi e non umani …

Il fatto che non mi è mai piaciuto stare alla finestra, solo per guardare l’opera degli altri, non implica che qualche volta io non mi sia soffermato ad ammirare lo sforzo di coloro che si sono fatti in quattro per realizzare opere degne di menzione.

Una cosa è l’essere in prima fila e l’altra è quella di mettere da parte la propria presunzione e accodarsi al dirigente più valido ed esperto, per terminare l’opera iniziata.

“Nel paese della Speranza non s’ingrassa, ma si campa dignitosamente”.


FontePhotocredits. Foto di Rosie Kerr su Unsplash
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.