
Il terremoto Ben
A Seoul tornarono tutti, con l’esclusione di alcune rappresentative, e la cosa non accadeva dai tempi di Monaco di Baviera. Ma se vogliamo, forse l’ultima Olimpiade senza alcuna invadenza politica era stata Tokyo 1964, guarda caso proprio in Estremo Oriente. Nonostante i timori per le tensioni tra le due Coree, a Seoul arrivarono ben 156 Paesi. La capitale asiatica aveva superato la concorrenza di Nagoya nella sessione di voto del 30 settembre 1981, tenutasi a Baden-Baden, in Germania. La Corea del Sud, che stava conoscendo una crescita economica strabiliante, potè così organizzare l’Olimpiade grazie anche Chung Ju Jung, il patrondella Hyundai e a capo dell’organizzazione, che attirò a sé tanti altri imprenditori, disposti a collaborare per la buona riuscita dei Giochi, confermando l’interesse degli uomini d’affari per la rassegna a cinque cerchi. I Giochi Olimpici erano ormai un business, non soltanto economico, ma anche mediatico che riusciva a mandare in seconda serata o in differita anche dibattiti politici di un certo rilievo, come ad esempio fece la Nbc con il confronto tra George Bush e Michael Dukakis.
Roh Tae-woo dichiarò aperti i Giochi il 17 settembre 1988 e l’accensione del fuoco spettò a Sohn kee-chung, oro a Berlino nel 1936, ma sotto altrui bandiera, quella nipponica, che all’epoca occupava la Corea del Sud.
Ancora una volta, i riflettori furono puntati sulla disciplina madre delle Olimpiadi, l’atletica, in particolare sulla gara simbolo, i 100 metri piani, dove era stata annunciata la sfida tra lo statuario e potente Ben Johnson e Carl Lewis. Big Ben, l’uomo più veloce della terra, vinse con irrisoria facilità e arrivò al traguardo con il dito alzato. Oro e record del mondo con il tempo futuristico di 9’’79. Ma la sua tracotanza ben presto si sciolse nell’esito del controllo antidoping che mise in mostra la sua positività. E allora il podio fu riscritto: medaglia a Lewis, argento a Christie e bronzo a Calvin Smith. Il doping era entrato dal portone principale e senza cogitazione. Ma dubbi destarono non solo le prestazioni delle tedesche dell’Est, ma anche quelle di Florence Griffith-Joyner, la cui esplosione muscolare non passò inosservata. Dopo aver lasciato il lavoro in banca, tornò alle gare e a Seoul vinse 100 con record del mondo, 200 e 4×100, con disarmante facilità. Morirà nel settembre del 1998, colta da una crisi epilettica durante il sonno.
A Seoul sui 400 m ostacoli fu destituito re Moses da Philipps, che non batté però il record del vecchio sovrano. Chi invece dominò anche la scena olimpica fu il sovietico dell’Ucraina Sergej Bubka con il salto di 5,90. L’attacco ai sei metri era cominciato e tante volte Bubka avrebbe perfezionato il record mondiale.
È doveroso raccontare quello che successe nella maratona il 2 ottobre. Al 31º chilometro un gruppo di cinque persone venne sorpreso dall’attacco di Gelindo Bordin. Il vicentino, raggiunto poi nei chilometri successivi, sferrò l’attacco decisivo a ridosso dei 40 km e andò a vincere quel titolo che era stato negato a Dorando Pietri ottant’anni prima. Accadrà ancora che un successore di Filippide sarà italiano (ad Atene con Stefano Baldini).
Nel nuoto la voce grossa la fece prima a parole Matt Biondi che sfidò l’impresa di Spitz a Monaco, poi in vasca vincendo solo cinque ori. Nesty, del Suriname, fu il primo nuotatore di colore a vincere un oro. Kristin Otto, sei ori, riconfermò la supremazia della scuola della Germania orientale. Nei 200 dorsi una ragazzina ungherese iniziò a far conoscere il suo nome: Krisztina Egerszegi vinse a Seoul il suo primo oro. Louganis entrò nella leggenda ma preoccupò il mondo per l’infortunio in pedana, dove urtò la testa contro il trampolino, perdendo sangue. Anni dopo, le sue dichiarazioni di sieropositività lo gettarono nella bufera per quel sangue che era finito in acqua.
Gelindo Bordin fu la chiusura del cerchio, ultima medaglia dell’Olimpiade italiana che da allora avrebbe mantenuto costante il numero di vittorie. Altre cinque furono le medaglie d’oro azzurre. Chi fece vibrare le ugole all’indimenticabile Giampiero Galeazzi, furono i fratelli Abbagnale e Peppino Di Capua nel due con ha conquistare uno storico oro e a respingere “la Germania Ovest che rinveniva fortissimo”. Agostino Abbagnale, il terzo della stirpe gloriosa di Pompei, era invece a bordo del quattro di coppia che aggiunse il secondo oro al canottaggio italiano nell’edizione numero ventiquattro. Vincenzino Maenza fu più forte degli avversari e vinse il secondo oro consecutivo nella lotta greco romana. Stefano Cerioni, proveniente dalla scuola di Jesi, aggiunse un altro alloro alla spedizione italiana e diede lustro alla scherma del Bel Paese. Argenti preziosi furono Salvatore Antibo sui 10000 metri e Carlo Masullo nel pentathlon. Maurizio Damilano, bronzo nella marcia 20 km, e Stefano Battistelli 400 metri misti, prima medaglia del nuoto maschile, furono due bronzi rilevanti nella nostra avventura coreana. Il bottino azzurro fu di sei ori, quattro argenti e quattro bronzi, decimo posto nel medagliere generale, vinto dall’URSS, davanti alla Germania Est e agli Stati Uniti.
Quattro anni dopo il crollo di un muro e gli albori di una terrificante guerra nei Balcani ridisegneranno confini e mappe geografiche, portando ai Giochi nuove entità nazionali che a Barcellona, nel caso delle ex Repubbliche sovietiche, resteranno cristallizzate nell’effimera Comunità Degli Stati Indipendenti, pronta a disintegrarsi nel breve tempo. Il mondo stava cambiando in maniera decisiva e le Olimpiadi diverranno davvero i Giochi di tutti i popoli.
