Quando informare significa non lasciarsi contagiare dall’onda emotiva

Io non sono Charlie Hebdo, non lo ero, non lo sarò. Intendiamoci: nulla a che vedere con un pentimento tardivo, nessun cedimento all’onda emotiva che ieri solidarizzava con Charlie Hebdo, all’indomani degli orribili fatti di Parigi e che successivamente gli ha dato addosso dopo le stupefacenti due vignette che Charlie ha dedicato al terremoto dell’estate di qualche anno fa.

Io non sono Charlie Hebdo, e non lo ero, perché credo che l’informazione abbia il diritto/dovere di critica, sempre e comunque, anche quando l’emozione tira in direzione opposta.

Io non ero e non sono Charlie perché credo che nessuna libertà, nel suo esercizio, sia assoluta, nemmeno quella di satira. Perché si misura sempre col limite che l’essere dell’altrui persona pone alla mia.

Non ero, non sono, non sarò Charlie perché credo che anche la satira, come ogni altra forma di giornalismo, abbia un preciso codice deontologico da rispettare (in Italia, da circa un anno, vige il Testo Unico dei doveri del giornalista, che ha unificato le varie “Carte” deontologiche uscite negli ultimi 25 anni).

Io non sono Charlie perché credo che i sentimenti profondi altrui, siano essi di credo religioso o meno, vadano sempre rispettati, magari anche criticati, ma mai vilipesi.

Non sono Charlie perché non credo che gli ideali della Rivoluzione Francese impongano la persecuzione del burkini e di chi lo porta (e per fortuna è del mio stesso avviso anche il Consiglio di Stato francese).

Non ero Charlie perché anche quando è stato il momento di solidarizzare con le vittime di Charlie, ed Odysseo non si è di certo sottratto a questo dovere, nondimeno non è venuta meno la nostra capacità di porre dei distinguo (leggere per credere: A propos de Charlie-Hebdo, Chi non arresta Charlie è…, Non sei Charlie Ebdo se…, “Qualcuno era Charlie Hebdo”: un anno dopo).

Non sono Charlie perché io piango le vittime di Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto e Arquata del Tronto.

Non sono Charlie perché è troppo comodo nascondersi dietro la mafia per celare le ragioni evidenti di una scelta: spacciare le vittime per lasagne condite con sangue e mattoni e approfittare così di una ghiotta occasione per portare a casa un’altra botta di pubblicità planetaria, aggratis!


5 COMMENTI

  1. Ho letto, Luca, la tua riflessione. Un’opinione che non codivido.

    Personalmente, fui, sono e sarò Charlie Hebdo. Perché la satira demistifica e demitizza tutto, senza però ledere la dignità. La satica sa ridere anche di se stessa.

    Ho condiviso la vignetta di Charlie sulla tragedia, causata in gran parte dagli uomini, perché non avvenga più quello che è successo. Sistematicamente, però,la gente muore, il territorio viene devastato, ma nulla viene fatto per tutelare la dignità delle persone quando sono in vita e dell’ambiente.

    Senza dimenticare, per essere onesti fino in fondo che tante volte anche noi vittime siamo in parte responsabili e complici con quelli che poi diventano carnefici. Ed anche ad Amatrice, come anche durante il terremoto che distrusse la scuola di San Giuliano, molte operazioni edilizie saranno state compiute con la responsabile connivenza dei committenti.

    Grazie.

    Domenico

    • Io ritengo quella vignetta non possa essere definita satira.
      La satira mette in evidenza le contraddizioni, i qualunquismi, le ipocrisie e falsità e ne ridicolizza i tratti; la satira se la prende coi “potenti” gridando che il re è nudo e se non lo è va a calargli le breghe!
      La satira non ridicolizza il “popolo” vittima del re, le vittime di chi resta schiacciato (letteralmente) sotto le conseguenze di quella italicità che la vignetta presumeva di voler mettere in evidenza.
      È solo uno schiaffo ai morti e non fa neanche ridere. Lo dico da cinico, da ateo e amante della battuta per la battuta.
      Volevano colpire l’italicità? Benissimo!
      Usando gli stessi ingredienti avrei una tavola imbandita dove (quelli che sarebbero dovuti essere) i destinatari della satira si stanno ingozzando di quelle pennette e lasagne mostrate nella vignetta.
      Ti lascio immaginare quanto ancora più forte sarebbe stata l’immagine di uno che addenta morti e macerie!
      Ma solo così sposti l’attenzione non su i morti ma chi sui morti ci mangia.
      Così sollevi la polemica, fai critica, fai satira ridicolizzando e mostrando il culo del re nudo.
      Diversamente se solo un disegnatoruncolo da strapazzo che non si è mai evoluto dalla fase anale e si diverte a ripetere parolacce per far arrabbiare mamma e papà.

  2. Innanzitutto grazide per la tua precisazione.
    “Ridicolizzare e mostrare il culo del re nudo”. Ebbene, nudo non è solo il re, ma anche noi che siamo frequentemente complici del re. Quanti erano, infatti, nella famosa fiaba i vari consiglieri che vedevano il re elegantemente vestito? Tanti. Gran parte del popolo! Che deve imparare non solo a non riempire il sacco, ma anche a non fare il palo.
    Se alcune delle vittime consapevoli avssero denunciato i “miglioramenti” ed avessero preteso gli “adeguamenti”, innanzitutto non sarebbero state vittime, inoltre con un atteggiamento eticamente lineare avrebbero smascherato le vischiosità e sollecitato l’assunzione di responsabilità da parte di altri.”

    Ovviamente non si trtta di fare il processo alle vittime, ma di spingerci ad assumere le nostre responsabilità e a gettare all’aria il tavolo quando è necessario.

    Grazie.
    Domenico

  3. Sono d’accordo con Luca. La vignetta di Charlie hebdo non fa neanche ridere, perché i luoghi comuni non fanno ridere. E, per carità, basta con con questa soggezione verso un’arte, la satira, che sarebbe libera di fare tutto. Anche di non far ridere.

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