Si chiama “Montegrosso, storia di un feudo dimenticato” il libro scritto da Giuseppe Marzano che, raccogliendo un’idea di Michele De Lucia, ha elaborato su carta stampata la trasposizione storiografica di un borgo dal glorioso passato, una vetrina periferica che, un tempo, fu centro di classicismo e tradizione. Ai nostri microfoni Giuseppe Marzano ci ha raccontato l’esegesi di questa opera illustrata.

Ciao Giuseppe. Hai recentemente confessato di aver scritto, assieme a Michele De Lucia, il libro “Montegrosso, storia di un feudo dimenticato” in soli quindici giorni. Attingendo proprio dall’archivio storico di De Lucia, quanta passione c’è dietro la stesura di quello che possiamo definire un “vademecum” della cultura popolare andriese?

In realtà Michele comincia a dedicarsi alla ricerca nel lontano 1965 per trovare notizie storiche sull’origine del proprio cognome e del Sud Italia. Fu premiato nel 1966 a scuola elementare per una ricerca storica.
Oggi possiede oltre 60.000 ricerche Araldiche sui cognomi delle famiglie Italiane ed Europee. Per quanto mi riguarda, fu il saluto di commiato dell’amato e compianto Vescovo Mons. Giuseppe La Nave a suscitare in me l’amore per la ricerca storica e per le pietre antiche di Andria.

 Di Montegrosso si conoscono, perlopiù, i processi politici legati alla colonizzazione fascista. In una sorta di anteprima per i nostri lettori, cosa c’è da sapere, invece, della forza lavoro che ha reso possibile la sopravvivenza di questo feudo?

L’antico bosco di Montegrosso era fitto di querce tali da meritare una visita imperiale di Federico II. La tradizione Benedettina coltivava il bosco per trarne alimenti. Infatti gli abitanti dalla zona erano soprannominati “Erbai”, poiché abbondante e quotidiano era il loro consumo di erbe selvatiche boschive. Nei pressi del Borgo inoltre passava la Via Appia Traiana, come testimoniato dalla Tabula Peutingeriana, che era quindi motivo di ricchezza per il territorio. Ciò è testimoniato da alcuni autori storici antichi che ci indicano dei ritrovamenti di vestigia Romane in occasione delle arature stagionali. Il feudo conobbe un’epoca fiorente sotto il dominio dei Quarti tra il XIII e il XVII sec.. famiglia che ricoprì un ruolo di grande fiducia e stretta collaborazione con l’Imperatore Federico II.

 La documentazione risale al 1230 e racconta le gesta di Giovanni Quarti, fedele scudiero di Federico II, ricompensato proprio dall’Imperatore con un casale a Montegrosso, divenuto, poi, nel 1552, proprietà dei Carafa. Ci sono altri siti archeologici,in Puglia, che necessitano di una manutenzione per resistere alle intemperie del tempo?

Federico II ricompensa le gesta di Giovanni Quarti non solo con la donazione del feudo di Bosco di Montegrosso ma anche con una casa palazziata di grande estensione le cui tracce medioevali sono ancora oggi visibili nella attuale Casa Accoglienza Santa Maria Goretti sede della Caritas Diocesana. Con l’arrivo dei Carafa il ducato conosce una grande crisi, e le altre famiglie nobili non vollero sottomettersi preferendo sposarsi nelle città vicine, nel caso dei Quarti, prima nella vicina Barletta, di dominio Regio, e poi a Salerno. Di siti da salvare e tutelare La Puglia ne è piena. Contrade come Santa Barbara, Montefaraone, Torre di maggio e Contrada Fornelli dove negli Anni Quaranta del Novecento si verificò il famoso ritrovamento di Ragni giganti riportato nelle cronache dell’epoca da un giornalista inglese.

 Le querce della Murgia ricordavano a Federico II gli splendidi paesaggi della sua Svevia. Più tardi i piemontesi avrebbero disboscato l’aerea utilizzando la legna per costruire le ferrovie al Nord. Dopo quasi un secolo, la questione meridionale sembra essere ancora di attualità. E’ anche per questo motivo, secondo te, che Montegrosso è un feudo caduto nel dimenticatoio?

Si, e anche per questo abbiamo deciso di pubblicare questo lavoro di ricerca, per il momento una prima edizione, edita a scopo divulgativo. Ai Piemontesi faceva comodo lasciare che le popolazioni meridionali vivessero nella totale ignoranza per poter meglio dividerla e comandarla…”DIVIDI ET IMPERA”, appunto!

 Progetti futuri?

Sarebbe bello istituire una fondazione, composta da gente sana e appassionata di storiografia, al fine di salvare e tutelare, documenti e volumi che hanno vinto i secoli e sono giunti fino a noi.