Uno dei temi più controversi, invaso da modalità comunicative che ormai investono la politica tanto quanto la giustizia o la moralità, è proprio quello della parità dei sessi: ad Oriente, come a Occidente
È facile che la rivoluzione arrivi sulle bocche di tutti e si trasformi nella moda del momento, così come è altrettanto facile trasformare in un pugno di parole chiave, di frasi ad effetto e di immagini forti, un movimento ben più complesso che dovrebbe prendere il pensiero e sopratutto il coraggio.
La rivolta viaggia nell’internet più che nell’etere, le armi da tastiera si sono evolute in forme più chic di ribellione, dove l’hashtag vince sulla battaglia, e la rivoluzione diventa semplice, tra bacheche sempre più invase e piazze sempre più vuote.
Uno dei temi più controversi, invaso da modalità comunicative che ormai investono la politica tanto quanto la giustizia o la moralità, è proprio quello della parità dei sessi. Per dire: l’anno scorso una slogan che partendo da Instagram ha invaso le bacheche di metà delle star hollywoodiane più politicamente impegnate era la scritta “We should be all feminists”, stampata su una t-shirt studiata da una delle più importanti e storiche case di moda francesi: costo 550 euro.
Guardando oggi le bacheche Instagram delle principali attrici americane troverete una lettera contro gli abusi nel mondo del cinema, veicolata dall’ hashtag #timesup, e una lettera contro gli abusi e le molestie, oltre che contro la mancata parità dei sessi nel mercato cinematografico. Questo dopo che per anni c’è stato un tacito assenso nel non denunciare.
Tra le tante storie che sono emerse proprio in questo periodo, la più amara di tutte è quella che ruota attorno a Kill Bill, film prodotto da Harvey Weinstein e diretto, è noto, da Quentin Tarantino. Kill Bill ha offerto all’immaginario femminile, al mondo delle giovani donne, alle millenials tanto quanto alle over, l’immagine di una donna forte, coraggiosa, vendicativa nel corpo e nello sguardo di Beatrix Kiddo: un simbolo che però mente sulla realtà delle molestie, che Uma Thurman solo oggi ha dichiarato di aver subito proprio su quel set da Winstein (lei come altre centinaia di attrici), con un Tarantino consapevole della situazione per sua stessa ammenda. L’onda di denunce che ha invaso metà del mercato cinematografico americano (e non solo), ha visto il suo culmine durante la serata dei Golden Globes, in cui attori e attrici hanno indossato abiti neri per protestare contro il sessismo del mondo hollywoodiano (“Times’up”, il tempo è finito).
Spostiamoci ad est: motivazioni simili, ma immagini differenti e sopratutto.. un’attenzione mediatica diversa. Infatti, nel rumore di fondo ci sono alcune immagini che hanno catturato silenziosamente l’attenzione dei media tra il frastuono di Natale e delle feste.
Il 28 dicembre una donna ha deciso silenziosamente di salire su un cassonetto in piazza Enghelab e di ribellarsi sventolando una bandiera bianca, tra l’indifferenza dei passanti e il fuoco delle Iran Protest. È facile fare la rivoluzione urlando slogan, non lo è togliendosi l’hijab, il velo obbligatorio per le donne iraniane, e sventolandolo silenziosamente per urlare ancora una volta la protesta delle donne arabe, ennesimo tassello, ennesimo pezzo di un quadro ampio che vede i giovani iraniani, sull’onda verde di una Primavera Araba che non si è mai veramente placata, manifestare proprio in questi giorni contro gli Ayatollah, e che sente ancora le ennesime voci di protesta femminili contro una cultura ancora troppo opprimente.
È bastato un velo strappato di testa e sventolato come una bandiera, fiera e silenziosa, a spaventare il regime: la donna è stata arrestata, diventando rapidamente un nuovo simbolo, più silenzioso, ma altrettanto coraggioso. Un gesto imperdonabilmente rivoluzionario è diventato la voce internazionale di una libertà furtiva, nascosta, oppressa, che si fa espressione nel movimento “My steathly freedom”, nato nel 2014, volto a sostenere la possibilità per le donne iraniane di scegliere se indossare o no il velo obbligatorio in un Paese bloccato ormai al 1979.