«Viene un momento in cui le chiacchiere ti pressano, la realtà irrompe, le richieste pratiche e concrete incrinano la luce dellanima e tutto si riduce a un meschino gioco di cause ed effetti»

(Fabrizio Caramagna)

Vi hanno mai detto cose tipo: “porta pazienza” (che poi come si porta la pazienza? In borsa?), “lo sai che deve passare” (che poi lo sai tu che io lo so?), “sii coraggioso”, “dai, speriamo” (che poi, cosa devo dare di preciso?), “non ci pensare” (che poi, qual è il manuale di istruzioni per controllare il pensiero?), “fatti forza”, “la bellezza salverà il mondo”?

Ve le hanno dette, ve le hanno dette eccome. La domanda era retorica e credo anche di sapere che normalmente queste esortazioni, queste affermazioni, siano arrivate in momenti complicati, come per travasare un vuoto, in un vuoto più grande.

Ciò che realmente vi chiedo è: non vi sono mai saltati i nervi al triplo, ogni volta che le avete sentite quelle frasi, come se steste cercando una qualche consolazione che, invece, non vi saltava nemmeno in mente di chiedere?

Come se non foste stati consapevoli di dover portare pazienza, di dover avere coraggio, farvi forza; come non aveste avuto coscienza piena del fatto che tutto prima o poi si rimette, o come non foste stati voi stessi portatori di certezze come quelle per la quale il mondo sarà salvo perché è bello? Come se davvero foste improvvisamente rincretini?

Ma invece non eravate rimbecilliti per niente, sapevate tutto e, santa fede, avreste solo voluto sentirvi liberi di dire chiaramente che quel momento era per voi un vero schifo, una parentesi pesantissima, nera, tunnel. Punto. Senza commiserazione, solo sapere di poter avere ascolto e comprensione.

Ecco, avere ascolto, come quando parlate apertamente e qualcuno risponde, senza filosofia: “povero amico mio”, “povera amica mia”. Nessuna pietà, la verità riconosciuta, senza la pialla per gli spigoli.

Poi ci si chiede perché qualcuno parli così poco! E chissà come mai, dico io: mica risposte semplici e comprensive, senza commiserazione, si possono ricevere così facilmente. Ovvio che certuni perdano del tutto la voglia di dire. Io li capisco, davvero.

Durante uno di quei periodi ho pensato di inviare un banalissimo “Ohi” a un’amica che non sentivo da un paio di settimane e lei si è proprio superata: “Dove sei? Ti ho pensata tutti i giorni o quasi. Intuisco un tormento. Mi arriva da te un frastuono, come un boato silenzioso”, mi ha risposto, senza farmi nemmeno sentire la necessità di dire, né venire la voglia di fare silenzio. Non mi ha regalato consolazione posticcia, né compassione miserevole.

Ha descritto un fatto e non ha preteso di cambiarlo: lo ha accettato per quello che era e si è messa lì, con me, pronta al silenzio, ma anche al suo contrario.

Penso che a volte basterebbero persone pronte a sentire, leggasi percepire, prima ancora che ad ascoltare, accettando che tutti abbiamo il diritto di dire che sì, abbiamo raggiunto il fondo e non vogliamo chiedere aiuto: ci serve, a volte, punto.

Senza chiacchiere, che sono il principio del male nel mondo: la folla e le chiacchiere. Nulla è così demoralizzante. E se lo pensava già Kierkegaard, una domanda potremmo farcela e una risposta potremmo darcela.


FonteFotocredits: pixabay.com
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.