
Non serve che un criminologo ci faccia una comune e televisiva lezione di efferatezza umana, occorre spiegare l’importanza della reciproca fiducia gli uni negli altri e nelle Istituzioni, con parole non erudite ma semplici. E magari con scelte conseguenti e concrete.
Quanto accaduto a Macerata, è qualcosa che si preannuncia ogni giorno, qualcosa che si muove mimetizzato e silente tra le persone: il disagio inteso come situazione sgradevole per motivi morali, economici e di salute, di mancanza di necessità e opportunità.
Un sostantivo, disagio, che con il rumore degli spari esplosi da un’arma probabilmente detenuta legalmente, ferisce il momentaneo senso di tutela e difesa degli individui che passeggiano senza colpa nel tentativo di riscuotere quotidianamente la questua della serenità.
Ho saputo ma non ho le prove, di controlli severi da parte di un Istituto della Pubblica Amministrazione che chiamerebbe a visite ripetute e ravvicinate nel tempo anche poveri cristi senza arti, temendo che gli stessi possano, lo affermo sorridendo, ricrescere magari arrecando un danno economico alla comunità. La stessa precisione e pedanteria dovrebbe essere usata e restituita a chi avesse richiesto agli organi competenti il porto d’armi, sempre ammesso che ce ne fosse il possesso a priori.
Cinque uomini e una donna hanno fermato con i propri corpi la follia di un uomo pare esasperato dalla apparente inciviltà della sua Italia, che si è bardato di una bandiera italiana e ha fatto un nostalgico saluto fascista: una giovane donna sempre a Macerata era stata fatta a pezzi da un uomo di origine straniera. L’uomo nero?
Potremmo dare la colpa ai programmi scolastici che non si preoccupano di insegnare cosa è stato il fascismo e cosa ha combinato al Paese che governava: qualche nonnino, candido, ricorda che ai tempi di Mussolini le case le si poteva lasciare senza sbarrare la porta ma probabilmente perché gli italiani avevano da farsi rubare solo la fame e i pidocchi, eccezioni a parte.
Cosa accade? Quanti uomini armati e pericolosi si nascondono nelle proprie case attendendo un segno divino o l’ispirazione per colpire a casaccio, ferendo e uccidendo nel mucchio?
Per cominciare è sufficiente che un Gip abbia convalidato l’arresto del presunto carnefice di quella giovane ragazza: deve essere ricordata al popolo la certezza della pena.
L’immagine di quel giovane uomo di 28 anni, in salute, palestrato, dalla mira precisa, o così è sembrato, avvolto nella bandiera italiana, siamo sicuri che non abbia riempito di orgoglio le testoline imbottite di caos di altre persone? Al momento dell’arresto ha dichiarato «ho fatto quello che andava fatto». Sic. Tristezza.
Non è lo Stato ad avere il dovere di compiere per primo azioni che assomigliano alla giustizia sociale? Sapete cosa intende la nostra Costituzione all’articolo 3 per “Giustizia Sociale”? Un fine per il cui raggiungimento la Repubblica si attiva a rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza, ostacolino il pieno sviluppo della persona.
Non serve quindi che un criminologo ci faccia una comune e televisiva lezione di efferatezza umana, occorre spiegare l’importanza della reciproca fiducia gli uni negli altri e nelle Istituzioni, con parole non erudite ma semplici. E magari con scelte conseguenti e concrete.